intervista

Bennahmias (ceo): «Italia mercato apripista per Audemars Piguet»

di Diego Tamone

3' di lettura

Quest’anno più che mai per tastare il polso delle realtà presenti al recente Salone di Ginevra dell’alta orologeria, sarebbe bastato analizzare con attenzione le novità di prodotto presentate. C’è chi (la maggioranza) ha giocato in difesa, reduce da un anno di ridimensionamento e con l’incognita di un 2017 da decifrare, chi all’attacco.

Tra i pochi a fare questa scelta, Audemars Piguet: le ragione le spiega il ceo François-Henry Bennahmias, in carica dal 2012. E in cinque anni in effetti ha cambiato marcia il marchio di Le Brassus, piccolo paese delle Alpi svizzere a mille metri di altezza. L’andamento di Audemars Piguet spicca nel panorama dell’alta orolgeria per due motivi: primo, la maison è tra le poche rimaste indipendenti. Inoltre nel 2016, per il secondo anno consecutivo l’export dell’orologeria svizzera, leader mondiale nell’alto di gamma, è calato. Non per Audemars Piguet.

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Un’offerta articolata e ricca di novità è spesso indice della buona salute di un brand. Conferma?

Nel 2015il fatturato Audemars Piguet ha superaro gli 800 milioni di franchi svizzeri (pari a oltre 750milioni di euro) e quest’anno chiuderemo molto vicini ai 900 milioni (845 milioni di euro), con una crescita quindi del 12,5%. Per il 2017 prevedo un anno stabile, che non porterà grandi rivoluzioni. Se saremo attenti a tutti i dettagli penso che potrà essere un altro anno molto positivo. Ma non è facile. Perché quando i ricavi sono così alti e si decide di non aumentare i volumi di produzione, grandi crescite sono impossibili.

Quindi su quali altre leve punterete per continuare a crescere?

Sposteremo il business dal canale wholesale al retail. Se vendiamo di più nelle nostre boutique potremo incrementare i ricavi. Abbiamo 51 monomarca e ci stiamo focalizzando di più su quelli.

A Firenze avete recentemente inaugurato il quinto in Italia. Quanto conta il nostro Paese per Audemars Piguet?

Quello italiano è sempre un mercato di grande importanza, per noi uno dei primi cinque. In testa ci sono gli Stati Uniti, seguiti da Hong Kong, Svizzera, Giappone e Italia. Ma bisogna aggiungere che l’Italia è un Paese che genera i trend e per questo lo teniamo sempre in grande considerazione quando lanciamo un nuovo orologio.

Parlando di prodotto, il Royal Oak ha sempre un ruolo predominante. Non è rischioso fare tanto affidamento su un’unica collezione?

La famiglia Royal Oak rappresenta il 75% del fatturato di Audemars Piguet. Ma credo che oggi, in tempi in cui il business è difficile, molti brand vorrebbero un Royal Oak in catalogo. Avere un orologio iconico è importante e molti ragazzi e ragazze giovani si avvicinano a noi proprio grazie a questo modello. Questo non vuol dire che non arriveranno altri modelli, altre collezioni, ma ad oggi siamo decisamente soddisfatti.

Dal 2016 spingete molto il segmento femminile. Una scelta che sta pagando?

Abbiamo raccolto grandissime soddisfazioni e oggi il Royal Oak Frosted Gold rappresenta un passo ulteriore che ci consente di rafforzare la nostra offerta. Attualmente la quota dei femminili è circa il 30% e un domani potrebbe anche salire. Ma occorre tenere conto che questo ci porterebbe a ridurre l’offerta nelle collezioni maschili perché, come ho spiegato, abbiamo fissato la nostra produzione, a 40mila pezzi all’anno per l’esattezza, e non abbiamo intenzione di aumentarla.

Intanto date spazio a orologi di altissima gioielleria.

Sin dall’inizio ho chiesto dei pezzi che potessero essere venduti ovunque e non solo ad Hong Kong. Moderni, audaci, rock’n’roll. Così sono nati il Diamond Punk, il Diamond Fury e, quest’anno, il Diamond Outrage. Un orologio-gioiello che rappresenta, per così dire, l’haute couture dell’alta gioielleria ma che è anche Audemars Piguet. Il che è ottimo per l’immagine del marchio.

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