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’Ndrangheta, investimenti illeciti all’epoca del Covid: 23 arresti e 30 milioni sequestrati in Emilia Romagna

Scoperte ‘ndrine legate ai clan Piromalli di Gioia Tauro e Mancuso di Limbadi

di Ivan Cimmarusti

2' di lettura

La crisi economica delle imprese dovuta alla pandemia da Covid aveva creato le condizioni giuste per gli investimenti della ‘ndrangheta. Lo ha scoperto la Guardia di finanza dell’Emilia Romagna, al comando del generale Ivano Maccani, che ha tracciato la rete degli investimenti criminali lungo il litorale regionale, oltre che violenze e minacce verso l’imprenditoria “sana”.

Arresti e sequestri

L’inchiesta della Procura di Bologna ha prodotto 23 arresti e il sequestro di 30 milioni di euro. Sono stati gli investigatori del Gico e dello Scico ad aver individuato l’infiltrazione nel tessuto socio-economico dell’Emila Romagna. Sono state scoperte ‘ndrine legate ai clan Piromalli di Gioia Tauro e Mancuso di Limbadi che avevano conti correnti bancari tra le province di Roma, Milano, Brescia, Monza, Modena, Piacenza, Forlì-Cesena, Reggio Emilia, Vibo Valentia e Reggio Calabria.

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Investimenti in epoca Covid

Stando agli accertamenti, gli investimenti illeciti – molti dei quali avvenuti in piena emergenza da Covid-19 – hanno riguardato, nel tempo, esercizi commerciali ubicati principalmente lungo il litorale romagnolo e operanti in variegati settori economici, tra cui l’edilizia, la ristorazione e l’industria dolciaria. Dopo mesi di indagini è emersa la presenza nel territorio regionale di piccoli gruppi di matrice ‘ndranghetista, ognuno dei quali guidato da personalità di spicco, con propri interessi economici e, soprattutto, provvisti di legami con diverse famiglie e mandamenti della “casa madre” in Calabria, spesso menzionati nelle varie conversazioni intercettate.

Violenze sugli imprenditori onesti

Grazie al ricorso a indagini tecniche, telefoniche e ambientali, oltreché all’esame di oltre un centinaio di rapporti bancari, è stato documentato un vorticoso giro di aperture e chiusure di società che, formalmente intestate a soggetti prestanome, venivano utilizzate come “mezzo” per riciclare denaro ovvero consentire l'arricchimento dei reali dominus, il tutto mediante sistematiche evasioni fiscali perpetrate per lo più attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture false, sovente preordinate al trasferimento di ingenti somme di denaro e al compimento di vere e proprie distrazioni patrimoniali, con palese noncuranza delle possibili conseguenze in termini di procedure fallimentari.

Gli illeciti si sono consumati in un contesto criminale connotato da ripetuti episodi di intimidazione e minacce, oltreché, in alcuni casi, di violenze ai danni degli imprenditori onesti che si sono rifiutati di aderire alle richieste dei sodali.

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