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Le nuove sfide Ferrero dopo lo shopping negli Usa

di Paolo Bricco

 Giovanni Ferrero

4' di lettura

Da Alba al mondo. Prosegue la strategia di crescita per linee esterne – soldi e marchi in cambio di mercato e fatturato – inaugurata da Giovanni Ferrero all’indomani della scomparsa del padre, il Signor Michele, l’uomo della Nutella che era sempre riuscito a fare crescere, crescere, crescere il gruppo senza compiere acquisizioni, fino alla soglia dei 10 miliardi di euro di fatturato. Adesso, si pongono i temi di lungo periodo della sostenibilità finanziaria e della compattezza strategico-manageriale del gruppo.

L’uomo della Nutella e di innumerevoli altri prodotti muore il 14 febbraio 2015. Il 23 giugno di quell’anno la Ferrero lancia un’Opa sull’inglese Thorntons. È il primo tassello di un mosaico articolato, che gradualmente mostra il suo profilo il 5 dicembre 2016 con i biscotti belgi della Delacre, il 15 marzo 2017 con la cioccolata americana di Fannie May e il 19 ottobre 2017 con le caramelle di nuovo americane di Ferrara Candy. Tutti marchi solidi, ma accomunati da una perdita di qualità del prodotto sui banchi dei supermercati e delle pasticcerie.

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Ora, l’operazione sulle barrette americane della Nestlé. Un salto dimensionale e strategico, che dischiude non pochi temi di finanza di impresa, perché nessuna delle operazioni precedenti aveva una magnitudo e un impatto patrimoniale assimilabili a questa. «La discontinuità c’è – nota Alfredo De Massis, aziendalista che insegna all’Università di Bolzano – nel senso che, da tempo, è chiaro che i margini sulle singole linee sono decrescenti e che non è replicabile la capacità di rottura nell’inventare nuovi prodotti posseduta dal Signor Michele».

De Massis è autore del paper “Innovation through tradition”, pubblicato sulla Academy of Management Perspectives: «In realtà, in questa strategia esiste anche un forte richiamo alla tradizione della famiglia e dell’azienda. Queste operazioni rappresentano un ritorno al passato: la cioccolata è il cuore di questa impresa. La tentazione delle diversificazioni non si è mai concretata. La focalizzazione ricorda gli antenati». Nessuna vera diversificazione. Fare soltanto ciò che si sa fare bene. Nota Giuseppe Rossetto, ex sindaco di Alba, molto vicino alla famiglia Ferrero: «Unilever produce i gelati con il marchio Ferrero. All’insegna della prudenza: ognuno fa il suo mestiere. E, così, una joint venture di natura intermedia evita il rischio di guerre commerciali».

Ferrero, una famiglia, un’azienda

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Prudenza. E persistenza. Le due caratteristiche, dunque, degli antenati. Proprio come in un racconto di Italo Calvino. Gli antenati. Giovanni e il nipote Michele. Quegli uomini che hanno composto il codice genetico dell’impresa e la sua cultura industriale di lungo periodo. Fatto di provincia e di mondo, di città e di campagna, di desideri e di paure, di individualità e di comunità. Un codice genetico e una cultura industriale generatisi nel passaggio dalla dimensione artigianale alla produzione industriale e di cui, ancora oggi, si ravvedono gli elementi costitutivi. «Negli uffici di Milano vicino alla Stazione Centrale Giovanni, che contribuì in maniera determinante alla trasformazione dell’attività di famiglia in una impresa strutturata e organizzata, era tutto un togliersi il cappello e un “riverisco, ben gentile”. Suo nipote, il Signor Michele, era impacciato e goffo, sudava e vestiva come un piccolo borghese che voleva evolvere», ricorda l’economista Francesco Forte, dal 1957 al 1960 consulente dell’azienda e tutore intellettuale degli imprenditori venuti dalla provincia di Cuneo.

Racconta il futuro ministro delle Finanze nel quinto Governo Fanfani e delle Politiche comunitarie nel primo Governo Craxi: «Lo zio Giovanni era un grande uomo marketing. Per lui traducevo articoli di giornale dal tedesco. La Ferrero aveva già due succursali in Germania. Poi, mi chiedeva quanti abitanti aveva la Cina. E faceva il calcolo su quanto avrebbe guadagnato se ognuno di loro avesse comprato il Cremino e la Cremalba, la pasta di cioccolato antesignana della Nutella. Il nipote Michele era concentratissimo sul prodotto».

Nell’Italia del Boom Economico, il sogno era la Cina e la realtà era la Germania. E, già allora, esisteva una struttura manageriale che, fra Alba e il mondo, avrebbe costruito la memoria di dirigenti come l’avvocato Chiesa, il dottor Dogliotti e il dottor Dogliani. Nomi sconosciuti ai più. Ma fondamentali in questa storia. Oggi come allora, dunque, contano la managerializzazione e l’espansione internazionale. Sottolinea Rossetto: «Dal settembre dell’anno scorso, Giovanni Ferrero si dedica soltanto alle strategie. E, per la prima volta, c’è un amministratore delegato, Lapo Civiletti».

Soltanto che, adesso, l’espansione internazionale va finanziata. Nota De Massis: «Questa operazione negli Stati Uniti è naturalmente rischiosa. C’è un problema di prezzo». Al di là del multiplo fatturato-valore riconosciuto e della capacità effettiva di ripagare l’investimento, esiste un tema generale di finanza di impresa, che ha una sua validità in sé e per sé, al di là di ogni ipotesi di apertura del capitale ad altri o di quotazione in Borsa.

Secondo la riclassificazione dei bilanci effettuata da R&S Mediobanca, nell’esercizio 2015-2016 il fatturato netto è stato pari a 10,3 miliardi di euro e il margine operativo lordo è ammontato a 1,5 miliardi di euro. Il Mol, dunque, vale il 15% dei ricavi consolidati. Nell’esercizio 2011-2012, era lo stesso: il 15% del fatturato. È vero che il capitale netto è tornato ai livelli del 2011: allora era pari a 2,7 miliardi di euro, nel 2015 era sceso a 2,1 miliardi di euro, nel 2016 è risalito a 2,9 miliardi. È vero che i debiti totali sono calati dai 5,4 miliardi di euro del 2015 ai 4,9 miliardi del 2016. Ma è altrettanto vero che, nel 2011, erano pari a 2,2 miliardi di euro. In cinque esercizi, sono più che raddoppiati.

La finanza di impresa e la capacità di costruire un gruppo coeso - nelle strategie, nei processi organizzativi e nella conduzione manageriale - costituiscono due sfide non da poco.

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