Italia

Quel desiderio di famiglia che va reso possibile

di Nunzio Galantino

(AP)

4' di lettura

La notizia della celebrazione, il prossimo 15 maggio, della XXIII Giornata internazionale della famiglia indetta dall’Onu su “Famiglie, educazione e benessere” potrebbe essere l’occasione per liberare la realtà familiare dalle angustie nelle quali troppe volte viene ricacciata; per mancanza di realismo ma anche per una eccessiva dose di ideologismo che ormai accompagna ogni legittimo confronto.

L’iniziativa Onu ci dice innanzitutto che la sfida educativa che i papà e le mamme si trovano oggi ad affrontare riguarda davvero tutti, quasi costringendoci a farci tutti artigiani della «cultura dell’incontro», come suggerisce Papa Francesco. Quando infatti si vivono relazioni significative da parte di tutti e a tutti i livelli, nessuna realtà, seppur problematica, viene marginalizzata. Ognuna interpella e ognuna viene interpellata. Che pensare allora della cronica “distrazione” che accompagna la realtà familiare? Che dire della fatica che tanti giovani decisi a sposarsi incontrano per rendere feconda la loro unione aprendosi alla vita? Sembra che questo tipo di difficoltà non interessino a nessuno!

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Nelle agende politiche si trovano risorse per tutto ma si fa fatica a trovarne per il sostegno alla famiglia. Eppure H.U. von Balthasar affermava che, «se si potessero togliere col pensiero dall’atto d’amore tra uomo e donna i nove mesi di gravidanza e cioè il tempo, il bambino sarebbe già presente nell’abbraccio generativo-ricettivo; questo sarebbe a un tempo l’amore vicendevole nel suo compimento e il frutto che lo oltrepassa». Un frutto che rende feconda anche la società! Una società sempre più tristemente sterile. Eppure tanti coniugi che sono l’anima del nostro Paese sembrano proprio non arrendersi. E giorno dopo giorno educano i propri figli. Spesso, senza ricevere sostanziali aiuti dallo Stato, li fanno diventare buoni cittadini. Sono proprio queste famiglie che, aldilà di ogni fragilità o nel bel mezzo di esse, crescono nelle varie stagioni della vita coniugale e fanno ben sperare. La verità è che sono davvero tante, sicuramente la maggior parte, le famiglie che vivono le varie difficoltà quotidiane, ma continuano ad amarsi e a contagiare felicità. La “normalità” della loro vita sembra autorizzare il disinteresse della politica e i cercatori dello “straordinario a tutti i costi”.

Sono state queste le percezioni che ho avvertito incontrando ad Assisi, la scorsa settimana, i 500 partecipanti al Convegno Nazionale organizzato dall’Ufficio Famiglia della Cei. Ero stato chiamato per un confronto con il Prof. Alberto Melloni, storico del Cristianesimo, sul tema «Strade di felicità per uomini e donne del XXI secolo». Non nascondo che, davanti all’invito a parlare di felicità, i primi pensieri che affollavano la mia mente erano le concrete difficoltà del fare famiglia oggi: la precarietà e la mobilità lavorativa, la freneticità dei ritmi quotidiani, l’isolamento che si avverte quando sopraggiunge una crisi di coppia, la complessità di educare nell’attuale contesto culturale e il patto da rifondare tra famiglia e scuola. Quando invece ho sentito la testimonianza di Angela e Michele, di San Severo, e soprattutto il sorriso di quel marito che, dopo 46 anni di matrimonio, diceva: «per me Angela è come l’aria; se lei manca, io resto senza ossigeno», ho compreso – io che sono poco o per niente romantico, purtroppo - che la felicità è uno sguardo che sa andare oltre gli elementi di criticità.

Quei due settantenni avevano saputo trasformare la dolorosa esperienza dell’infertilità e la conseguenza di non poter avere figli, generando nella loro coppia una fecondità nuova: la cura premurosa per giovani che si avviano alle nozze. Sono diventati il volto di una Chiesa Madre per tanti giovani disposti a scommettere seriamente sulla “vita a due”. Certo, «chi vive intensamente la gioia di sposarsi non pensa a qualcosa di passeggero»; il “per sempre” che porta a decidere di “metter su famiglia” ha bisogno però dei necessari sostegni per costruirsi di giorno in giorno. La sensazione di solitudine rischia, oggi più che mai, di trasformare ogni piccola crisi nella tentazione di cedere e incrinare la relazione coniugale.

Quanta strada c’è ancora da fare per scoprire le tante differenze presenti all’interno della coppia come opportunità per sperimentarne la ricchezza, come quella del maschile e del femminile da coniugare insieme. È quello che affermavano, in una seconda testimonianza, Karim e Francesca. Lui, musulmano, è il primo maestro che il Governo di Tunisi ha inviato alla scuola elementare per le famiglie tunisine che vivono a Mazzara del Vallo. Lei, cattolica, è assistente sociale presso il Consultorio della Asl. Si sono sposati con rito misto nel 1986 con la convinzione, raccontava Karim, che «sposando lei non mi sarei fermato alla sua cultura, ma avrei cercato l’essenza della sua persona». Così, ai miei occhi, questa coppia di sposi sono diventati l’incarnazione di un sogno: quello di una società che, abitata da varie etnie, possa esprimere la fraternità fra i popoli. Un sogno che ad alcuni appare come un incubo; e tale vogliono che lo considerino anche persone mediamente intelligenti, sensibili e informate. La questione infatti è che c’è ancora tanto desiderio di famiglia e la felicità di tanti giovani consiste nel realizzare il loro progetto. Da parte di tutti, si tratta di far crescere una società in cui questo sogno diventi possibile.

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