Tocco femminista firmato Dior in passerella a Parigi
di Angelo Flaccavento
2' di lettura
Perché non ci sono state grandi artiste donne? Inizia con questa domanda, in apparenza adatta alla Biennale di Venezia o a Documenta, la fiera sull’arte contemporanea che si tiene ogni cinque anni a Kassel, in Germania. Invece è la domanda che ha aperto la settimana della moda parigina. L’interrogativo è stampato a caratteri cubitali su una maglietta a righe da marinaretta bretone indossata con dei jeans patchwork da Sasha Pivovarova – modella, ma anche pittrice dal tocco espressionista – in apertura dello show di Dior. Per ogni invitato, sulla seduta, una copia del saggio dallo stesso titolo, scritto nel 1971 da Linda Nochlin.
Il direttore creativo Maria Grazia Chiuri continua la riflessione sull’identità femminile iniziata dall’insediamento, ormai un anno fa. Il suo disegno a questo punto è chiaro: fare di Dior un hub di nuovo femminismo, un gineceo progressista nel quale il bello diventa strumento di autoderminazione, non imposizione dell’occhio e della cultura maschili.
Per questo le è congeniale la figura della donna artista. A Georgia O’Keeffe era dedicata la precollezione presentata a maggio a Los Angeles: l’idea della creatività femminile, impastata insieme di pragmatismo e di poesia, legata sovente alla materia e agli oggetti della quotidianità considerata sempre laterale rispetto al sistema, equivale a una autentica emancipazione dagli stereotipi del maschilismo. «Non ci sono state grandi donne artiste perché le condizioni storiche non lo hanno permesso», dice Chiuri nel backstage.
Nume tutelare di questa nuova prova è Niki de Saint Phalle, artista-bambina la cui opera più nota è il Giardino dei Tarocchi, poco fuori Parigi, popolato di figure bulbose e burrose, in colori primari. Dietro cotanta gioiosa puerilità di tratto si nascondeva il trauma infantile dell’abuso da parte del padre, che Niki de Saint Phalle esorcizzò per tutta la vita lavorando con la mano, appunto, di una bambina.
Era una donna sottile e bellissima, dall’eleganza eclettica, amica di Marc Bohan, successore di Yves Saint Laurent da Dior. Ecco la connessione. La stimolante premessa concettuale si traduce in una collezione viva, decorativa e, a proposito, decisamente eclettica – sull’onda del «tutto va bene, sempre» di Gucci – che unisce silhouette grafiche anni Sessanta, jeans da contestatrice e gonne plissè.
Un turbinio caleidoscopico che intrattiene l’occhio ma che in qualche modo superficializza il pensiero che ci sta dietro. «Cambiano le linee perché cambiano le donne, non il contrario. È un pregiudizio da combattere», conclude Chiuri. Vedere gli stessi vestiti su donne vere e non modelle anaffettive avrebbe rafforzato il messaggio femminista.
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