41-bis, anche dopo la Consulta vietato il regalo di compleanno al boss
La decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il divieto assoluto di scambiarsi oggetti tra detenuti nello stesso gruppo di socialità, lascia all’amministrazione penitenziaria il potere di stabilire dei limiti
di Patrizia Maciocchi
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Niente “vestito gessato marrone”, in regalo al boss per il suo compleanno, da parte di un altro detenuto al 41-bis. L’omaggio al capo clan resta vietato anche dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza 97/2020, ha bollato come illegittima la norma che impediva, senza eccezioni, lo scambio di oggetti tra detenuti nello stesso gruppo di socialità. I giudici delle leggi hanno, infatti, lasciato all’amministrazione penitenziaria, la possibilità di introdurre delle limitazioni, che siano motivate e giustificate da precise esigenze, sindacabili dal magistrato di sorveglianza. Nel caso specifico nel mirino dei giudici erano finiti dei capi di vestiario di un certo valore, regalati per il compleanno, di nascosto, ad un capo della criminalità organizzata. La Corte di cassazione (sentenza 7939) respinge dunque la tesi del ricorrente - anche lui un capo, presunto reggente del clan napoletano della Vanella Grassi - secondo il quale lo scambio dopo la Consulta doveva considerarsi un fatto lecito non più sottoposto a restrizioni.
Il colpo di spugna della Consulta sulla norma dell’Ordinamento penitenziario che prevedeva il divieto assoluto ha aperto alla possibilità di uno scambio di oggetti di modico valore tra gruppi, formati al massimo da quattro detenuti. Gruppi di socialità che hanno lo scopo di conciliare due esigenze potenzialmente contrapposte: da una parte, evitare che i detenuti più pericolosi possano mantenere vivi i propri collegamenti con i membri delle organizzazioni criminali di riferimento, sia in carcere sia liberi e, dall’altra, garantire anche a questi detenuti occasioni minimali di socialità. Nel bocciare il no assoluto agli scambi, i giudici delle leggi avevano valorizzato la possibilità che gli appartenenti allo stesso gruppo hanno di comunicare tra loro, nelle ore che trascorrono insieme. Circostanze che forniscono l’occasione per scambiare messaggi, non necessariamente ascoltati o conosciuti dalle autorità penitenziarie. La norma dell’ordinamento è stata dunque censurata come irragionevole perché non serve ad accrescere le esigenze di sicurezza pubblica e impedisce una, sia pur minima, modalità di socializzazione.
Ma la stessa Corte costituzionale si era preoccupata di forme unidirezionali di scambio di oggetti, sempre in favore di singoli detenuti «idonee a segnalare simbolicamente la loro posizione di supremazia all’interno del gruppo». Ipotesi che possono essere affrontate e risolte con le dovute limitazioni dall’amministrazione penitenziaria, come avvenuto nel caso esaminato.
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