41 bis, la legge della paura non può comprimere libertà e democrazia
La nostra Costituzione non ha una emergency clause, ma il nostro Paese ha sperimentato emergenze dettate da un evento naturale, dalla mano armata dell’uomo, dalla spregiudicatezza finanziaria e, da ultimo, dal virus
di Giovanna De Minico
3' di lettura
La nostra Costituzione non ha una emergency clause, ma il nostro Paese ha sperimentato emergenze dettate da un evento naturale, dalla mano armata dell’uomo, dalla spregiudicatezza finanziaria e, da ultimo, dal virus. In attesa che il legislatore di revisione scriva la clausola, come si dovrebbe comportare un ordinamento?
In questi giorni il governo presieduto da Giorgia Meloni dichiara di essere assediato da un’emergenza terroristica di matrice anarchica.
Il caso Cospito ripropone domande fondamentali mai definitivamente chiuse.
Escluso che lo Stato di diritto possa rispondere alla recrudescenza terroristica con le stesse armi usate da chi intende ridurlo in condizione di perenne paura, ci sono rimedi in difesa della sua sopravvivenza?
Durante una situazione d’emergenza si avverte più forte il bisogno di rispettare le regole di quanto lo si percepisca in tempi normali, perché la situazione straordinaria è solo una parentesi di vita eccezionale, che si apre e si chiude all’interno di un contesto ordinamentale temporaneamente alterato, congelato nell’esercizio di alcune sue funzioni, confinato in uno stato di sospensione, dal quale deve uscire quanto prima per ritornare alla sua piena dimensione costituzionale.
La cultura della legalità si sostanzia almeno in tre regole.
La prima di queste regole è il rispetto della divisione dei poteri, che riserva al Parlamento il timone dell’avvio dello stato emergenziale, cioè la sua dichiarazione; nonché il controllo sulla gestione della nuova condizione giuridica, delegata al Governo con i necessari limiti. La primazia dell’Assemblea rappresentativa si giustifica in quanto custode insostituibile delle nostre libertà, il bene suscettibile di essere compromesso in nome della sicurezza da ristabilire.
La seconda regola è l’identità del legislatore emergenziale e dei suoi attrezzi, già individuati dalla Costituzione nella coppia Governo-Parlamento e nel loro decreto legge, strumento ordinario deputato a gestire la straordinarietà. Quindi nulla va creato ex novo.
La terza regola che sostanzia la cultura della legalità è data dai limiti per il legislatore. Più severi di quelli vigenti in tempo di pace perché la proporzionalità gli consentirà sì di comprimere le libertà, ma solo in misura equivalente alla concreta e attendibile minaccia alla sicurezza. La precauzionalità gli consentirà, invece, di sacrificare i diritti fondamentali, ma a condizione che il giudizio di prognosi anticipata lasci intravedere un pericolo serio e attuale. Dunque, la legge dovrà stare attenta a non ricadere nelle facili tentazioni delle valutazioni legali tipiche, cioè di quelle tecniche che con presunzioni assolute reputano certo un evento la cui pericolosità è considerata astrattamente sussistente, avendo omesso di verificare con prognosi ex ante l’attitudine concretamente lesiva della condotta.
Ma se il caso Cospito dovesse essere considerato - come sembra a seguito delle decisioni del ministro della Giustizia, Carlo Nordio -un effettivo rischio emergenziale, mancherebbe del necessario attributo del pericolo attuale, accostandosi a una minaccia presunta. Come tale non sarebbe la causa del regime in deroga, ma il suo effetto patologico. Saremmo dinanzi a un’emergenza scritta a tavolino, esistente nella mente del decisore politico più che nell’accadere concreto dei fatti.
Il Parlamento verrebbe estromesso dalla valutazione di apertura dell’emergenza, mentre sarebbe opportuno un suo giudizio politico corale per scongiurare il pericolo che il governo lo stia sfruttando per instaurare lo stato di polizia.
Come difenderci da un’eventuale torsione autoritaria? Con la cultura della legalità: metodo politico di lotta civile al terrorismo, in grado di affermare una sua moralità interiore, basata sul rispetto della dignità e dell’uguaglianza di tutte le persone, sul sacrificio delle libertà solo se strettamente indispensabile, sulla trasparenza e massima coralità possibile dei luoghi della decisione sull’emergenza. Libertà e democrazia sono gli unici beni meritevoli di essere difesi in tempo di terrorismo, perché quando le cose vanno bene non corrono alcun rischio di menomazione; quando tali valori sono in tensione, lo Stato corre il rischio di barattarli contro un’improbabile sicurezza. Se ciò dovesse accadere, cessato il periodo del terrore, l’ordinamento riconquisterà una “normalità anomala”, perché questa fittizia normalità sarà stata conseguita con un sacrificio impari e permanente di libertà e democrazia. E allora prima che accada, chiediamoci: a chi gioverebbe la legge della paura, se il danno procurato fosse maggiore del pericolo
dal quale prometteva di difenderci?
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