41-bis, limiti ai colloqui telefonici con il familiare sottoposto allo stesso regime
Per esigenze di sicurezza è legittimo condizionare i colloqui visivi e telefonici se anche il familiare sconta la pena con il carcere duro. Valutazioni da fare caso per caso e pesa il parere della Dda
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
2' di lettura
Al detenuto al 41-bis non può essere riconosciuto un diritto incondizionato ai colloqui telefonici e visivi a distanza, con il familiare sottoposto allo stesso regime speciale. L’esigenza di assicurare il diritto a coltivare la relazione con il parente non può, infatti, andare a discapito della sicurezza interna dell’istituto o pubblica. Il punto di equilibrio, nel contemperare i diversi interessi in gioco, sta nel valutare volta per volta tutti gli elementi che potrebbero impedire l’accesso al beneficio. Dando un peso anche al parere, non vincolante, contenuto della Direzione distrettuale antimafia. Partendo da questo principio la Cassazione, ha accolto il ricorso della casa circondariale e del ministero della Giustizia, contro l’ordinanza con la quale il Tribunale di sorveglianza aveva dato assecondato la richiesta di detenuto al 41-bis di recuperare i colloqui telefonici con la sorella, sottoposta anche lei al regime differenziato, che erano stati negati dall’amministrazione penitenziaria. La difesa del detenuto, in quell’occasione, aveva invocato proprio un precedente della Suprema corte (sentenza 7453/2015) con il quale i giudici di legittimità avevano affermato che il diritto al colloquio visivo con i congiunti, o alla telefonata sostitutiva, del sottoposto al 41-bis ha natura soggettiva. E va garantito anche se il familiare sconta la pena con lo stesso regime. Questo senza ulteriori valutazioni discrezionali dell’autorità amministrativa e senza previo parere obbligatorio della Dda. Previsione quest’ultima contenuta in una circolare del Dap del 2017, considerata eccentrica rispetto allo scopo del trattamento.
Lo scopo del 41-bis
Una conclusione dalla quale la Suprema corte ieri ha preso nettamente le distanze. Lontano dall’essere eccentrica la previsione di un parere qualificato dell’autorità giudiziaria - sottolinea la Cassazione - è perfettamente in linea con la ratio dell’istituto del 41-bis, che è quella di evitare che il detenuto entri in contatto con l’organizzazione di riferimento. Un’esigenza di sicurezza amplificata dal fatto che entrambi i soggetti interessati ai colloqui siano al carcere duro.
Per la Cassazione dunque non c’è dubbio che anche chi è al 41-bis mantenga il diritto ai rapporti con i familiari detenuti con le stesse restrizioni. Ma va allo stesso tempo impedito che i diretti interessati assumano comportamenti tali da mettere a rischio la sicurezza. Per questo da una parte servono forme di comunicazione a distanza controllabili, come la videoconferenza, dall’altra si impongono tutte le verifiche del caso concreto, compreso il parere della Dda. Perché, conclude la Cassazione, è sbagliata l’affermazione secondo la quale il diritto va assicurato senza alcuna limitazione «anche a costo di “svilire” le esigenze di sicurezza che stanno a fondamento del regime detentivo differenziato».
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