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La Ruhr, da cuore d’acciaio a polmone verde

Ecco come il patrimonio industriale abbandonato della regione, ex «locomotiva di Germania», vive una seconda esistenza tra natura, arte e cultura

di Enrico Marro

Zeche Zollverein, Essen, North Rhine-Westphalia, Germany - Zollverein Coal Mine Industrial Complex

4' di lettura

Da cuore d'acciaio a polmone verde. Se la Germania è la locomotiva d'Europa, l'area industriale della Ruhr ha rappresentato per secoli la locomotiva della Germania. Le fondamenta della ricchezza tedesca.

Quasi cinquemila chilometri quadrati di carbone e ferro, lavoro e sudore, lacrime e lusso, con minatori e operai arrivati da tutt'Europa e fusi come l'acciaio nel crogiuolo del miracolo industriale tedesco.

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Quella della regione della Ruhr rappresenta la più grande opera di riconversione europea di impianti industriali dismessi in musei, teatri, ristoranti, spazi espositivi e centri commerciali (foto Lukas Wiegand).

Tra le miniere più grandi d'Europa e gasometri alti come grattacieli, senza dimenticare le sfarzose ville tutte boiserie ottocentesche di leggendarie dinastie industriali come i Thyssen e i Krupp (questi ultimi raccontati con licenza poetica da Luchino Visconti nella “Caduta degli dei”, con Dirk Bogarde e Helmut Berger).

La seconda vita della Ruhr

Dopo aver resistito a due guerre mondiali, il cuore d'acciaio della Germania è stato liquefatto dalla globalizzazione. Negli anni Settanta e Ottanta le miniere chiudono una dopo l'altra. La produzione si sposta all'estero. La Ruhr si ritrova senza identità.

E' in quegli anni che, un po' per scelta e un po' per caso, avviene la metamorfosi di questa regione più popolosa della Danimarca: l'idea è trasformare il cuore d'acciaio in polmone verde, ma senza cancellare il passato industriale, senza diventare un “non luogo”.

Miniere, fabbriche, centrali elettriche e gasometri si trasformano in musei, teatri, cinema e centri commerciali in quella che è la più grande opera di riconversione europea di impianti industriali dismessi.

Un'immagine del centro di Essen, nel 2010 nominata Capitale europea della Cultura e nel 2017 Green Capital del Vecchio continente (foto Jochen Tack).

Operazione che non passa inosservata: nel 2001 l'enorme miniera di Zollverein diventa patrimonio Unesco, nel 2010 il capoluogo Essen viene nominato Capitale europea della Cultura, nel 2017 è incoronato Green Capital del Vecchio continente.

Una coloratissima Zeche Zollverein durante un evento (foto di Jochen Tack).

La miniera ritrovata

Il simbolo della seconda vita della Ruhr (ma anche della prima) è proprio lei, la Zeche Zollverein, l'ex miniera di carbone più grande del mondo, costruita negli anni di Weimar da Fritz Schupp e Martin Kemmer, architetti di scuola Bauhaus: ottocento ettari di carbone e acciaio oggi diventati un colossale spazio multifunzionale in grado di attrarre un milione e mezzo di visitatori l'anno grazie a musei, teatri, centri congressi, bar, ristoranti, persino studi televisivi.

Il Museo della Ruhr, ospitato all’interno dell’ex impianto minerario di Zeche Zollverein a Essen (foto DZT - Francesco Carovillano).

Fiore all'occhiello del complesso è il Red Dot Design Museum, disegnato dalla penna minimalista di Norman Foster nell'ex fornace.

Il Gasometro di Oberhausen, il più grande d’Europa, un gigante alto 117 metri e largo 68 costruito a fine anni Venti. Oggi è un colossale spazio espositivo diventato famoso per le mostre di Christo (foto di Dirk Böttger).

Una galleria d'arte alta 117 metri

Altro miracolo è il recupero del Gasometro della vicina Oberhausen, il più grande d'Europa, un gigante alto 117 metri e largo 68 in funzione dal 1929. Danneggiato durante la guerra e poi ricostruito, è stato anch'esso un simbolo dell'industria tedesca fino a essere dismesso nel 1988.

Destinato all'abbattimento, venne salvato dal visionario progetto dell'urbanista Karl Ganser, figura chiave della rinascita postindustriale della Ruhr: grazie a un solo voto di vantaggio, lo scettico consiglio comunale di Oberhausen deliberò il recupero e la riconversione dell'impianto.

“The Fragile Paradise”, aperta fino al 26 novembre, mostra nell’arena verticale del Gasometro un’enorme riproduzione illuminata della Terra: miliardi di anni di evoluzione del pianeta vengono riassunti in uno show di 18 minuti (foto di Dirk Böttger).

Oggi l'ex Gasometro è uno degli spazi espositivi più singolari d'Europa (di sicuro il più alto), reso celebre da “The Wall”, la mostra di Christo e Jeanne-Claude del 1999 che calamitò nella piccola Oberhausen 400mila visitatori. L'ultima esposizione, “The Fragile Paradise”, aperta fino al 26 novembre, mostra nell'arena verticale un'enorme riproduzione illuminata della Terra, con miliardi di anni di evoluzione del pianeta riassunti in 18 minuti.

Nel Landschaftspark di Duisburg è possibile scalare le pareti delle vecchie fabbriche, alte oltre ottanta metri (foto Per Appelgren).

Tra Alien, Miss Germania e Hunger Games

Ancora più folle si è rivelato il destino del Landschaftspark di Duisburg, ex complesso industriale dei Thyssen che in 87 anni di gloriosa carriera sfornò 37 milioni di tonnellate di acciaio grezzo. Qui, dopo l'abbandono negli anni Ottanta, la decisione fu ancor più radicale: i 200 ettari dell'impianto dovevano restare così com'erano, senza grandi opere di recupero con costose archistar. Mai decisione fu più felice.

L'ex impianto siderurgico di Duisburg è diventato il set di film e serie tv, tra le quali il prequel di Hunger Games (foto di Per Appelgren).

Oggi l'ex complesso siderurgico di Duisburg è un grande palcoscenico in cui trovi di tutto, ma davvero di tutto: dall'elezione di Miss Germania ai meeting aziendali, dalle esercitazioni dei pompieri agli incontri dei lottatori di sumo, dagli spettacoli teatrali alle immersioni sub in un'ex cisterna, dai raduni dei Ferrari club tedeschi alle arrampicate sulle pareti delle fabbriche abbandonate (alte 82 metri).

Mostruosamente affascinante, un po' Metropolis di Fritz Lang un po' astronave di Alien, è stato scelto come set per decine di film e serie tv, compreso il prequel di Hunger Games. Di notte ha un'illuminazione spettacolare.

Villa Hügel, la sfarzosa dimora della potente dinastia Krupp costruita nel 1873 su una collina poco fuori Essen (foto Peter Gwiazda).

Le 269 camere amate dal Kaiser

Poco fuori Essen è poi imperdibile Villa Hügel, in tedesco “collina”: 8100 metri quadrati di sfarzo divisi in 269 camere, dove 650 dipendenti servivano giorno e notte la potentissima dinastia Krupp, qui presente in numero variabile da uno a nove membri.

Costruita nel 1873 su ispirazione delle dimore patrizie inglesi ha un parco di 28 ettari, una splendida vista sul lago Baldeney e persino una stazione ferroviaria personale (ora S-Bahn). Un luogo particolarmente amato dal Kaiser Guglielmo II, che visitò Villa Hügel ben nove volte restando a dormirci sette: anche nel settembre 1918, prima della sua ultima apparizione pubblica, a poche settimane dall'abdicazione e dalla fuga. Adolf Hitler invece fu ospite della villa quattro volte.

Sono ben 269 le camere di Villa Hügel, che ospitò per nove volte il Kaiser Guglielmo II e per quattro volte Adolf Hitler (foto di Peter Gwiazda).

L'ultimo dei Krupp

Qui è cresciuta la mitica Bertha Krupp, che nel 1902 appena sedicenne ereditò l'impero industriale e che diede nome al celebre obice tedesco da 70 tonnellate della Grande Guerra.

E qui venne arrestato dagli alleati Alfried Krupp von Bohlen und Halbach, ultimo rampollo della dinastia, piazzato da Hitler al comando dell'impero nel novembre 1943: responsabile del lavoro forzato di 100mila “schiavi” prelevati dai campi di concentramento, venne condannato a Norimberga per crimini di guerra.

Il giorno dell'arresto si presentò al tenente colonnello Clarence Sagmoen dell'Us Army con uno dei suoi abiti più eleganti, circondato dai camerieri. Venne portato via su una jeep militare scoperta.

In carcere gli chiesero se dovevano chiamarlo Herr Alfried, Herr von Bohlen o Herr Krupp von Bohlen und Halbach. «Chiamatemi solo Krupp - rispose lui secco - sono qui per questo nome. E la cella dove mi trovo è ciò che resta della grande eredità della mia famiglia».

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