A Bologna sulle tracce di Lucio Dalla, fra jazz club, portici e nuove mostre
A dieci anni dalla scomparsa del cantautore la sua città gli dedica eventi e celebrazioni. Un’occasione per ripercorrerne le strade e scoprire tesori nascosti
di Mariateresa Montaruli
I punti chiave
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Un grande grembo di torri, portici, osterie e cantine. Una città-corpo, una seconda pelle da portare sempre con sé. «Una famiglia vera e propria non ce l’ho e la mia casa è Piazza Grande», cantava immortale Lucio Dalla. Nella città dove la luna, «con un mucchio di stelle», cadeva per strada, Dalla aveva abitato, bambino, con la madre sarta, al n. 2 di piazza Cavour, trasposta, nella sua poetica, in “piazza Grande”. In quello slargo con la panchina, la statua che lo ritrae lì da luglio del 2021, e il portico con le volte affrescate della Banca d’Italia, svelò al mondo di aver bisogno di carezze: “anch’io”. Poi scelse di vivere nel quattrocentesco Palazzo Fontana, in via d’Azeglio, perché da qui poteva ascoltare le campane di San Petronio di cui amava il rintocco.
Una mostra che apre due anni di celebrazioni
Che sia la nascita, il 4 marzo 1943, a Bologna, che si voglia celebrare o la morte avvenuta il 1° marzo 2012 a Montreux, Bologna, i cui Portici sono diventati Patrimonio dell’Umanità, inaugura, il 4 marzo, al Museo Civico Archeologico, la mostra “Lucio Dalla. Anche se il tempo passa”. Primo evento di un piano biennale 2022–2023 (per i 10 anni dalla scomparsa e gli 80 dalla nascita per cui si progetta anche un musical con le sue più belle canzoni) sostenuto da un contributo comunale di 60mila euro e organizzato dalla Fondazione Lucio Dalla con la società C.O.R di Roma, la mostra esplora la dimensione artistica e umana del cantautore, svelando note personali poco conosciute. Il fatto, tra gli altri, che per vezzo, come si legge sulla targa nell’androne di Palazzo Fontana, si facesse chiamare con lo pseudonimo condominiale Prof. Domenico Sputo. O che fosse affetto da “presepite acuta”. Nella casa di via d’Azeglio 15, sotto i soffitti lignei si affollano oggetti attinti al sacro e al profano, frammenti di presepi napoletani e statue di aspetto canzonatorio cui Lucio esprimeva gratitudine giornaliera offrendo confetti come fossero ex-voto. Della casa di piazza Cavour restano un paravento e un grande specchio da sarta. Il salone che ospitava la Pressing Line, la sua casa discografica, conserva il ritratto di Caruso, la copertina del vinile di 4 marzo 1943 con cui nel ’71 partecipò a Sanremo e la laurea honoris causa dell’Università di Bologna. Accanto al balcone, al primo piano, si nota il murale L’Ombra di Lucio intento a suonare il clarinetto tra i gabbiani delle Tremiti, opera del trevigiano Mario Martinelli.
Sulle orme dei grandi del jazz, fin sotto i Portici, patrimonio Unesco
Fuori da queste pareti, il legame con la città resta stretto. In via Caprarie e via Orefici, nel Quadrilatero del centro storico, incastonate nel marciapiede ci sono targhe d’ottone a forma di stella con i nomi dei grandi del jazz passati per Bologna. C’è Ella Fitzgerald e naturalmente anche Dalla. Sotto le Due Torri, in via Caprarie, si trova l’ammezzato del Discoclub, dove, a 16 anni, l’artista scoprì il clarinetto e cominciò a suonare con Pupi Avati. Nella Basilica di San Domenico l’autore di Anna e Marco avrebbe conosciuto padre Michele Casati, il “caro amico” cui scrive in L’Anno che verrà. Oltre queste tracce, a Bologna sfilano dappertutto i Portici, un unicum urbanistico e culturale di 62 km, dallo scorso luglio nella World Heritage List dell’Unesco. Come all’Avana, impartiscono il ritmo alla promenade cittadina e all’alternanza di luci e ombre. I Portici nascono nell’Alto Medioevo come proiezione abusiva di edifici privati in suolo pubblico. Per aumentare lo spazio abitabile e quello delle botteghe, sporti e mensole furono allungati sulla strada e sostenuti da colonne che presero di volta in volta il gusto stilistico delle diverse epoche di costruzione. Inizialmente illeciti, furono resi obbligatori nelle nuove case da uno Statuto del 1288: dovevano poter accogliere un uomo a cavallo con il cappello, ovvero avere un’altezza di 7 piedi bolognesi, pari a 2,66 metri.
Fra monumenti, palazzi e antiche librerie
Per scoprirli, dalla casa di Lucio si cammina verso Piazza Galvani e Piazza Maggiore dove si ritrovano alcune delle più spettacolari strutture porticate della città. Sul lato est di Piazza Maggiore svetta il portico di Palazzo d’Accursio con la duecentesca Torre dell’Orologio e la terrazza sommitale appena riaperti al pubblico per una vista strepitosa, a 360° sulla città. Accessibile è anche il meccanismo dell’Orologio Solare collocato sulla facciata nel 1451 e restaurato nel 1773, cui spettava il compito di segnare il mezzogiorno. Il lato nord della piazza è occupato dal portico del Palazzo del Podestà, di fine 1400. Non lontani sono il Portico dei Banchi, con la facciata scenografica ristrutturata su disegno del Vignola a metà 1500 e, poco più avanti la libreria Nanni, la più antica di Bologna. A pochi passi il percorso detto Pavaglione, il “padiglione” del vecchio mercato dei bachi da seta, con il Portico dell’Ospedale della Morte, attuale sede del Museo Civico Archeologico.
Rinnovamenti nel segno del cinema
La passeggiata continua attraverso i portici medievali lignei di Casa Isolani in Strada Maggiore e quelli settecenteschi di via Zamboni, nel cuore della città universitaria. A rappresentare il portico sociale del primo 1900, anche gli spazi dell’ex forno del pane durante la I Guerra Mondiale che dal 2007 ospitano il MAMbo, il Museo d’Arte Moderna. Aveva una funzione urbanistico-sociale anche il Sottopasso di via Rizzoli che il Comune ha affidato in comodato d’uso alla Cineteca di Bologna, dedicata al restauro dell’immagine in movimento, curatrice del festival Il Cinema Ritrovato e Sotto le Stelle del Cinema. Avviato il cantiere per la costruzione della scala che diventerà il nuovo accesso al Cinema Modernissimo e al Sottopasso, l’area ospiterà fino al 16 ottobre, la mostra “Folgorazioni figurative” che segna il 100° anniversario della nascita di Pier Paolo Pasolini. «Uno che è nato in una città piena di portici», come lui stesso affermò nell’incipit del poemetto Poeta delle Ceneri.
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