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«A caccia di relitti con il mio Pluto Negli abissi trovo glorie militari e danni ambientali»

Ha individuato il relitto della corazzata «Roma», orgoglio della Marina Militare Italiana affondata nel 1943 dai nazisti

di Alfredo Sessa

Imprenditore, inventore ed esploratore, Guido Gay con il veicolo sottomarino Pluto, di sua invenzione, utilizzato per esplorare i fondali alla ricerca dei relitti delle grandi navi. Dopo il ritrovamento del «Principe Umberto», il prossimo obiettivo potrebbe essere l'incrociatore francese «Léon Gambetta», silurato da un sommergibile austriaco a sud di Santa Maria di Leuca il 27 aprile 1915.

7' di lettura

«Nel 1969, quando ci fu lo sbarco sulla luna, pensai: spendono tanti soldi per andare nello spazio, e poi, 200 metri sotto al livello del mare, non sappiamo cosa c’è. Fu questa la prima spinta per costruire un mezzo subacqueo e andare a vedere». Alla ricerca dei relitti delle grandi navi da guerra, Guido Gay esplora da molti anni gli abissi del Mediterraneo. Nell’oscurità dei fondali riposano ex regine dei mari, a volte velate, come un pietoso sudario, dalle reti a strascico perse dai pescherecci. Scheletri di creature un tempo orgogliose e potentissime. Ora invece testimoniano lo spreco di giovani vite e la caducità dei motivi che portano le nazioni a scambiarsi siluri e cannonate.

83 anni, piemontese, doppia nazionalità italiana e svizzera, l’ingegnere Guido Gay ha trasferito nelle ricerche sottomarine il suo animo di esploratore e di inventore. Lo guida uno spirito quasi artigianale, la capacità di fare molto con poco. Gay progetta e costruisce piccoli robot sottomarini a controllo remoto, battezzati Pluto, che vanno a scrutare in sicurezza gli abissi.

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L’ultimo ritrovamento di un relitto illustre, il «Principe Umberto», è avvenuto lo scorso maggio. La nave, adibita al trasporto truppa, fu silurata dagli austriaci l’8 giugno 1916. Ora giace a quasi mille metri di profondità al largo di capo Linguetta, nelle acque albanesi del canale d’Otranto. Morirono 1926 persone. Si tratta della più grave tragedia navale italiana di sempre.

Ma l’ostinazione di Guido Gay ha permesso negli anni di fare riemergere dal buio altri maestosi giganti del mare. Il piroscafo «Francesco Crispi», affondato con 1.300 soldati il 19 aprile 1943 tra Toscana e Corsica, e il relitto del sommergibile britannico «Saracen», che lo silurò. Tra i ritrovamenti anche il transatlantico inglese «Transylvania», colato a picco al largo dell’isola di Bergeggi il 4 maggio 1917. Per tacere delle antiche navi greche e romane, con i loro carichi di anfore o di travertino, nelle quali l’ingegnere si imbatte, il più delle volte casualmente, andando a caccia di quelli che un tempo erano lucidi e guizzanti mostri metallici.

Ma c’è una nave che più di altre fa battere il cuore di Guido Gay. È la più bella, la più grande, la più tecnologica di tutte le corazzate della seconda Guerra mondiale. La splendida «Roma», orgoglio della Marina militare italiana dell’epoca, affondata dall’attacco di aerei tedeschi il 9 settembre 1943, mentre viaggiava tra la Spezia e la Maddalena per consegnarsi agli Alleati dopo l’armistizio. Il mare di Sardegna l’ha inghiottita, e nessuno l’aveva più vista da quel tragico pomeriggio di settembre. La «Roma» è il più grande sacrario del mare per la Marina militare, la tomba di 1.400 marinai. L’ingegnere l’ha ritrovata il 17 giugno 2012 dopo una ricerca ostinata, iniziata molti anni prima.

Capacità e perseveranza. E forse un appuntamento programmato anche dal destino. Il percorso che ha portato Guido Gay all’incontro con la «Roma» parte da lontano, dal suo rapporto con il mare.

«È una cosa innata. Ho vissuto da bambino in Liguria, mio padre era chimico e lavorava alla Acna di Cengio. Ci andavamo, al mare, ma a me l’acqua è sempre piaciuta, mi ha sempre affascinato: nel giardino avevo scavato un fosso, l’avevo riempito d’acqua e ci avevo messo dentro il mastello dove mia madre faceva il bucato, per galleggiare e per navigare».

Molto importante si è rivelato il periodo trascorso in Argentina. «Dopo la guerra mio padre si è trovato male con il lavoro. Si fece una nomea di simpatie di sinistra, che all’epoca erano considerate quasi un delitto. Siamo nel 1950, lo trasferirono, mio padre era un tecnico, non era accettabile per lui andare a Milano in un ufficio, quindi si licenziò. Cercò allora di mettersi in proprio, ma anche lì ci furono problemi. Decise quindi di tagliare i ponti e di andare in Argentina con tutta la famiglia. Questa parentesi ebbe su di me un’influenza notevole, dai 13 ai 18 anni. Le materie scientifiche erano abbastanza ben fatte nella scuola argentina. Mi interessavano, e le ho assimilate».

Al rientro in Italia il Politecnico di Torino e di Milano, poi lo sbarco nel mondo del lavoro. «Mi sono sempre occupato di elettronica, che una volta si chiamava radiotecnica. Fin dall’Argentina ho “pasticciato” con queste cose. Il lavoro l’ho trovato in una società che costruiva strumenti scientifici: regolatori di temperatura, a metà degli anni 60. Riuscii a costruire un misuratore di acidità innovativo, a transistor anziché a valvole, lo brevettai, però il padrone della ditta era anziano, il commerciale se ne stava sempre in ufficio, per cui il mio periodo da lavoratore dipendente durò solo 8 mesi. Mi impiegai come consulente presso l’Amplifon. Poi mi misi in proprio, a fare i miei strumenti di misura».

In parallelo cresceva la passione per le barche a vela. La prima fu un semplice flying junior. Poi iniziò una sequenza di scafi sempre più grandi. Il salto di qualità definitivo è stato il catamarano «Daedalus», progettato e costruito in proprio dall’ingegner Gay. Il «Daedalus» è nave appoggio, laboratorio-officina, base di partenza e ritorno del Pluto che va a scrutare i fondali, casa dell’ingegnere-inventore che solca i mari del mondo. Una barca che ha un ruolo decisivo nella ricerca dei relitti. Il «Daedalus» dispone infatti di posizionamento dinamico, un sistema computerizzato collegato alle eliche che permette all’imbarcazione di stare ferma in un punto, senza ancorarsi, durante un’ispezione dei fondali. Il robot Pluto, alimentato a batteria, non riceve corrente dalla barca, quindi il cavo che lo collega in superficie è sottile e permette maggiore manovrabilità negli abissi.

Importante tra le dotazioni del Daedalus è il sonar a scansione laterale. «Il vantaggio di questo strumento – spiega l’ingegnere – è la capacità di mettere in evidenza un oggetto con una riflettività maggiore: l’ombra diventa più scura e si vede molto meglio». Il «Daedalus» percorre avanti e indietro “corridoi” marini come un aratro che traccia solchi lunghi e paralleli, fino a mappare ampie zone di mare. Alla fine, l’ingegner Gay guarda i tracciati del sonar come un medico studia una radiografia. E riconosce, attraverso una attenta osservazione di segnali, un possibile relitto. Dopo un ritrovamento parte la segnalazione alle autorità militari. Ciò che giace in fondo al mare è infatti un sacrario dei caduti. Conoscere la posizione di un grande relitto, inoltre, può contribuire alla sicurezza delle attività di pesca e di navigazione.

Le missioni di Guido Gay si situano tra scienza, natura e storia. Rintracciare una nave affondata non solo in acque profonde, ma anche nella memoria degli uomini, significa infatti consultare archivi delle marine militari per ricostruire una rotta. Ascoltare testimonianze di qualche superstite ancora in vita. E fidarsi. Oppure no.

Senza troppi giri di parole, come gli viene spesso naturale, l’ingegnere non nasconde un certo scetticismo: «Le indicazioni delle marine militari dell’epoca, per quanto precise, sono spesso fuori di molte miglia. Anche io ho tentato di ricavare un punto studiando i documenti e cercando di immaginare percorsi e situazioni. Un lavoro lungo, da topo di biblioteca, ma pur con la migliore disposizione a immedesimarsi nell’ambiente e nelle circostanze, quasi inutile. Le indicazioni sono spesso contraddittorie, alcune chiaramente errate, altre troppo generiche per essere riportate su una carta nautica. L’ultima nave che ho trovato è il Principe Umberto. È stato abbastanza facile, perché percorreva una rotta precisa, da Punta Linguetta a capo Santa Maria di Leuca. Quindi ho percorso quella rotta e l’ho trovata subito. Idem è successo con un peschereccio che ha tirato su delle anfore, qualche anno fa, a Portofino. È bastato ripercorrere la rotta del peschereccio per ritrovare il relitto».

L’esplorazione dei fondali a caccia di vecchie navi è un’attività priva di sponsor e di finanziamenti. Eppure ha, indirettamente, anche un valore economico. Perché è una vetrina per mettere in mostra le capacità tecniche della Gaymarine e della Idrobotica, le due aziende dell’ingegner Gay. L’una in Italia, a Lomazzo, l’altra in Svizzera.

Tra i clienti c’è l’Università di Genova, per la realizzazione di programmi di ricerca nell’ambito della biologia marina. Importante, per esempio, è lo studio delle colonie di corallo bianco a volte rinvenute sui relitti o sulle rocce dei fondali. Ma a interessarsi ai piccoli veicoli subacquei sono soprattutto le marine militari. «Siamo specializzati – dice l’ingegnere – nella costruzione di veicoli per neutralizzare le mine. A mio avviso siamo i numeri uno. Abbiamo più di 20 marine militari nel mondo che li utilizzano. Non è un grosso affare, però è una cosa specialistica, nella quale siamo bravi. In Europa, oltre a noi, ci sono gli svedesi e i francesi. Ma non sono al nostro livello. Quello che loro vendono, lo vendono per motivi politici e di influenza. Mentre noi, che siamo piccolini, e che non abbiamo agganci ad alti livelli, vendiamo grazie alle prestazioni eccellenti. Ma devo dire con amarezza che l’Italia conta poco nel mondo. Il Sistema Italia non funziona. Andiamo sempre a scontrarci con una certa diffidenza verso il prodotto italiano».

Quando il Pluto illumina negli abissi un oblò rimasto miracolosamente intatto, il cuore accelera. Per un istante, il vetro che riflette il fascio luminoso del faro, tra il volteggiare del plancton, può dare l’illusione che dall’interno del relitto qualcuno abbia acceso la luce. Ma al di là degli aspetti surreali, l’attività di ricerca delle grandi navi affondate è autentica passione per il mare e per la scienza. «Uno dei miei principali interessi è la divulgazione della cultura tecnica e scientifica» ci tiene a dire l’ingegnere. E dal suo speciale punto di osservazione, i fondali, lancia un allarme sullo stato di salute dei mari: «Dove i pescatori girano al largo, il mare è come dovrebbe essere. Tutto il resto è una devastazione totale. Compresi i relitti romani. Tutti pieni di plastiche. Una cosa impressionante, l’immondizia che c’è sul fondo».

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