ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùaccusa di conflitto di interessi

A Hollywood esplode la «guerra» tra sceneggiatori e agenti

di Marco Valsania

C'era una volta ad Hollywood

4' di lettura

New York - «You are fired». Non è il ritorno di Donald Trump alla Reality Tv. È il nuovo grido di battaglia degli sceneggiatori americani contro i loro agenti, accusati di intrattabile conflitto di interessi e indebito sfruttamento dei loro clienti come risultato di un nuovo modello di business che ha trasformato le maggiori “talent agencies” in veri e propri imperi mediatici e tentacolari.

Gli sceneggiatori - l’altra faccia di Hollywood, spesso meno glamorous ma altrettanto preziosa - hanno una lunga storia di militanza che può sorprendere. Da Dalton Trumbo e gli Hollywood Ten che si opposero al Maccartismo ai lunghi scioperi del 1960 (146 giorni), del 1988, (153 giorni), e del 2007 (tre mesi) per assicurarsi maggiori diritti e compensi - nell’ultimo caso allargati alla distribuzione digitale. Dieci anni dopo quello scontro con gli Studios, hanno adesso rotto con un altro grande protagonista del settore, le vaste corporation dei loro agenti e rappresentanti, che ai loro occhi appaiono sempre più simili a giganti della produzione cinematografica e televisiva con a cuore quindi propri interessi invece di quelli dei clienti che dovrebbero rappresentare, gli sceneggiatori stessi.

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Ebbene, i 13mila e più membri della Writers Guild of America in protesta contro le resistenza delle grandi Agencies a scendere a patti con le loro richieste economiche e professionali che dovrebbero “riallineare” gli interessi hanno deciso di prendere un’iniziativa drastica e senza precedenti nella storia di una unione pur combattiva: hanno ordinato a tutti i loro membri di licenziare in tronco tutti gli agenti “compromessi”.

Sul loro sito e nelle loro missive agli iscritti hanno messo a disposizione il facsimile di una lettera da inviare per comunicare la cacciata; e un elenco di talent agences minori che possono continuare a essere utilizzate perché prive di conflitto di interessi.

La disputa non è per nulla gratuita e va al cuore della tendenza dei gruppi leader tra gli agenti, società quali Endeavor, Caa e Uta, a diventare - con il galoppo a Hollywood del gigantismo, della concentrazione e dell’integrazione a tutti livelli, tecnologico o di contenuto - delle autentiche società dello spettacolo a 360 gradi comprese attività da case di produzione. In particolare vengono denunciate le pratiche di mettere a punto “Packaging deals”, formule pronte con attori, sceneggiatori, registi e quant’altro da vendere agli Studios - e a volte anche da realizzare direttamente.
Simili pacchetti e produzioni, è l’accusa, le pongono in condizioni di sacrificare gli interessi degli sceneggiatori-clienti, di violare cioè il loro dovere fiduciario, per perseguire le proprie commissioni o compensi per le serie o film che possiedono, controllano o nei quali sono comunque coinvolti in prima persona. Questi deal vengono infatti remunerati con fees gonfiati dagli Studios; mentre avere filiali che sfornano content vede le Talent Agencies indossare un “doppio cappello” di datore di lavoro e difensore (a quel punto solo più teorico) dei diritti dei loro “assistiti” che finiscono per impiegare.

La battaglia si è trascinata a lungo lontano dai riflettori prima di esplodere. La Wga aveva chiesto da ormai da anno una rinegoziazione di accordi quadro - compresa una sorta di codice di condotta - che risalgono ormai a 43 anni or sono e regolano i rapporti tra clienti e agenti hollywoodiani. Aveva fissato una scadenza al 6 aprile scorso per un accordo, altrimenti avrebbe rotto gli indugi. Quella data era stata poi estesa al passato weekend, ma davanti all’impossibilità di raggiungere un compromesso la scelta è stata di andare allo scontro.
Secondo indiscrezioni gli agenti avevano offerto in extremis ai writers una piccola percentuale (l'1%) dei profitti futuri in particolare dei mega-progetti di packaging (il cosiddetto “back-end”, dai quali al momento sono esclusi) e donazioni una tantum da sei milioni in tre anni ad un fondo per migliorare la “diversita'” a Hollywood. Ma generati da show di lungo corso e di grande successo. E con il 99% dei profitti da back-end - generati da show di lungo corso e di successo - che rimarrebbero nelle mani delle agenzie la Wga ha definito i termini dell'offerta “non seri”.

Le parti si sono accusate reciprocamente della rottura negoziale. «Serve un cambiamento profondo», ha detto David Goodman, il capo-negoziatore della Wga. L’Associazione delle Talent Agencies (Ata) ha risposto attraverso un portavoce che la Wga «sfortunatamente non ha accettato la nostra proposta» asserendo che l’Associazione vuole investire nelle comunità creativa e che la Wga sembra al contrario determinata “a volere il caos”.

La Writers Guild punta in realtà a più dei soldi: vuole piuttosto introdurre nuove restrizioni sul packaging e sulle produzioni dirette da parte delle Talent Agencies, una prospettiva che invece gli agenti ritengono leda il loro nuovo modello di business.
I licenziamenti di massa degli agenti e paralisi delle sceneggiature potrebbero però avere conseguenze pesanti per l’intero settore, non solo per i protagonisti del duello. I danni degli ultimi scioperi degli sceneggiatori sono stati variamente stimati in centinaia di milioni di dollari di opportunità perdute e show deragliati, con ripercussioni complessive per l'economia della regione Los Angeles calcolate fino a a 1,5 miliardi. Una dramma, insomma, degno d’un film.

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