Sotto il Vesuvio

A Napoli la ceramica unisce la scena contemporanea

Da Labinac alla galleria Thomas Dane, si moltiplicano le collaborazioni dell'Istituto Caselli della Real Fabbrica di Capodimonte

di Sara Dolfi Agostini

Lynda Benglis, Artwork: Zumaque, 2013, glazed ceramic. 33 x 30.5 x 25.4 cm / 13 x 12 x 10 in. Credit: © Lynda Benglis. Courtesy the artist and Thomas Dane Gallery. Photo: Amadeo Benesante

6' di lettura

A Napoli, la scena artistica contemporanea si rinnova nel solco di una tradizione che elegge materiali carichi di storia come la ceramica a collante di comunità artigiane, gallerie e musei. È il modello di istituzioni come il Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina - Madre e anche di soggetti privati, tra cui la galleria Thomas Dane e il nuovo spazio Labinac, una collaborazione tra l'omonimo collettivo di Jimmie Durham e Marias Thereza Alves, e Marcello Del Giudice, titolare della Fonderia Nolana che i due artisti hanno conosciuto producendo le loro opere d'arte nella capitale partenopea.

Produzioni Calatrava; Modelli realizzati in 3D su disegni di Santiago Calatrava, Direzione artistica della produzione: Valter Luca De Bartolomeis. Formatura, Foggiatura, Verniciatura e cottura, Decorazione: artigiani dell'Istituto Caselli. Laboratori di produzione con gli studenti. Courtesy Valter Luca De Bartolomeis

Il mondo dell'arte internazionale a Napoli

“Il nostro legame con Napoli è iniziato quando Jimmie è stato invitato a fare una personale alla Fondazione Morra Greco nel 2012” ricorda Alves, che con il compagno artista, recentemente scomparso, ha condiviso oltre quarant'anni. “Qui c'è un'energia particolare, si trovano attivisti in ogni campo e molti sono architetti come Filomena Carangelo di Mud Studio o Antonio Martinello di Keller Architettura, e poi ci sono le cooperative come Dedalus con la quale l'Associazione Culturale Maria Thereza Alves e Jimmie Durham, fondata nel 2014, ha subito iniziato una collaborazione di natura didattica e sociale” racconta l'artista.

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A sinistra: Maria Theresa Alves - Coimbra2021 - Portuguese pink marble, bronze, aluminum - edition of 2 + 1 AP - 160 x 90 x 75 cm; A destra Maria Thereza Alves - Untitled, 2021 - wood, brass - 51 x 54 x 9 cm

Ma la fascinazione per Napoli ha una storia ben più lunga, che si intreccia con la vita privata. “Quando ci siamo conosciuti io e Jimmie eravamo artisti squattrinati, e per arredare casa cercavamo in strada mobili ripudiati o derelitti, e gli restituivamo vita e uso” rievoca Alves, e continua: “in modo inaspettato poi, amici e collezionisti hanno iniziato a interessarsi a quei pezzi”.

A sinistra: Jimmie Durham - PINO (model 1-6), 2019 - resin, bronze, steel - edition of 15 + 5 AP - each dimensions variable; a destra: Jimmie Durham - SABI 2021 - Olive wood, steel - appr. 150 x 80 x 70 cm

Una modalità operativa che a Napoli, tra i rioni della città vecchia, da Sanità a Forcella e ai Quartieri Spagnoli, trova ampli stimoli. Ma il passaggio da passatempo a idea imprenditoriale nasconde anche un desiderio benefico che i due artisti covavano da tempo, quello di sostenere le spese universitarie di studenti indigeni brasiliani.

Philipp Modershon - topiary vase (set of 3), 2022 -concrete, glass, epoxy resin, asilikos, clay - 30 x 30 x 47 cm

“Negli anni 2016-17 mi sono documentata per verificare le loro necessità e ho scoperto che basterebbe raccogliere 6 milioni di euro all'anno per garantire 500 euro di stipendio mensile agli studenti indigeni immatricolati presso tutti gli atenei brasiliani” spiega Alves, che è originaria di San Paolo e ha ancora rapporti con le organizzazioni studentesche locali. Da lì, la scelta di procedere con lo sviluppo del progetto e fornire il proprio contributo.

“A Stick in the Forest”. Mostra di inaugurazione del collettivo LABINAC, Napoli ; Produzione Elisa Strinna, in collaborazione con l'Istituto Caselli e Real Fabbrica di Capodimonte. Courtesy Valter Luca De Bartolomeis

Labinac

E così è nato Labinac, lanciato inizialmente quattro anni fa con eventi spot e nomadici - gli ultimi con la galleria Michel Rein a Parigi e lo spazio Alcova a Milano. “L'idea di aprire a Napoli è stata di Jimmie, ma abbiamo dovuto rimandare fino a oggi a causa della pandemia” spiega Alves dai nuovi spazi di Via Crispi n° 69, nella casa signorile che fu di Benedetto Croce e ospita anche la galleria londinese Thomas Dane. La mostra di inaugurazione, dal titolo “A stick in the forest”, rende omaggio a Durham - Leone d’Oro alla carriera della 58. Biennale di Venezia nel 2019 - ed evoca un dialogo spontaneo con materiali spesso naturali, ispirato dal senso di meraviglia che infonde la progettualità dei due artisti.

Elisa Strinna - Lichens (turquois), 2022 - ceramics - 39 x 39 x 1 cm

La direzione artistica della collezione è a cura del collettivo Alves-Durham, mentre la Fondazione Nolana è responsabile delle produzioni e della vendita. I prodotti in mostra vanno da 250 euro a 50.000 euro, e sono edizioni aperte, limitate e prezzi unici, perché rispecchiano la diversità di una proposta che include ceramica, gioielli, sculture, mobili, lampade e opere a muro di artisti come gli italiani Elisa Strinna e Alessandro Piromallo, e anche artigiani come il brasiliano Arupo Waura. Non mancano le opere prodotte a Napoli con l'ausilio delle maestranze locali.
“La città ha davvero molto da offrire, e infatti da anni condividiamo il nostro studio presso l'ex Lanificio a Porta Capuana con artisti e ricercatori italiani e internazionali che invitiamo a fare residenze - da Hila Peleg del Documentary Film Festival di Berlino all'artista braziliano Icaro Lira - per creare un ponte tra la vivace scena napoletana e il palcoscenico internazionale” conclude Alves.

Produzioni Calatrava. Modelli realizzati in 3D su disegni di Santiago Calatrava. Direzione artistica della produzione: Valter Luca De Bartolomeis. Formatura, Foggiatura, Verniciatura e cottura, Decorazione: artigiani dell'Istituto Caselli. Laboratori di produzione con gli studenti. Courtesy Valter Luca De Bartolomeis

Thomas Dane

Qualche rampa di scale più su, la storia materiale di Napoli si intreccia di nuovo con l'arte contemporanea nelle eleganti sale della galleria londinese Thomas Dane – di casa a Napoli dal 2018. In concomitanza con l'inaugurazione di Labinac, Thomas Dane ha aperto una mostra di ceramiche e porcellane di respiro istituzionale, “A matter of life and death”, curata dalla ex direttrice del Camden Arts Centre di Londra, Jenni Lomax. “La porcellana a Napoli è come il marmo a Carrara, ha una storia centenaria che si lega alle fortune della Real Fabbrica di Capodimonte e arriva fino all'attualità più recente” racconta la direttrice della galleria, Federica Sheehan.

Artist: Phoebe Cummings, Artwork: Prelude, 2021 (detail; work in progress) Clay, water, mixed media 200 x 120 x 120cm Credit: © Phoebe Cummings. Courtesy the artist and Thomas Dane

La mostra unisce le originali produzioni degli artisti della galleria Lynda Benglis, Anya Gallaccio e Phillip King, recentemente scomparso – alle opere di artisti internazionali storicizzati e contemporanei che raccontano l'evoluzione della ricerca materiale rievocando la storia di Napoli, che ha un rapporto simbiotico, quasi identitario con la fragilità e la forza del materiale. Infatti, esordisce con un «Concetto spaziale» di Lucio Fontana, una di cinque opere dell'artista in mostra (anno 1955-1960; prezzo 325.000 euro), che echeggia il leggendario uovo di Virgilio cui la sorte della città sarebbe intrinsecamente legata, e continua con le composizioni floreali di Chiara Camoni (18.000 euro per una serie di tre vasi; 35.000 euro per sei vasi), sospese tra arte e rituale, i vasi spirituali di Magdalene A. N. Odundo che vedremo presto alla 59. Biennale di Venezia (200.000 dollari), e le sculture di Phoebe Cummings (prezzo su commissione, l'opera è site-specific e non può essere spostata), affascinanti quanto delicate mancando l'ultimo fondamentale tassello produttivo, la cottura in forno. “Phoebe ha fatto due residenze a Napoli per questa produzione e - come già Walead Beshty in occasione della sua mostra personale nel 2018 (prezzi delle ceramiche tra 65.000 e 250.000 dollari) - ha improntato il suo progetto sulla contaminazione napoletana, con ricerche botaniche locali e il prezioso supporto dell'Istituto Caselli della Real Fabbrica di Capodimonte” ricorda Sheehan.

Il Complesso monumentale della Real Fabbrica di Capodimonte: l'Istituto Superiore ad Indirizzo raro Caselli, la Real Fabbrica e il MuDi-museo didattico della ceramica e della porcellana.Courtesy Istituto Caselli, Napoli

Istituto Caselli della Real Fabbrica di Capodimonte

Dunque cosa hanno in comune il Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina – Madre, lo spazio Labinac e la galleria Thomas Dane e molti altri? A Napoli gli scambi sono sempre vivaci, ma il principale minimo comun denominatore di artisti e operatori culturali è l'Istituto Caselli della Real Fabbrica di Capodimonte, diretto da quattro anni da Valter Luca de Bartolomeis, studioso, designer e progettista. “Sul piano industriale l'Italia ha perso terreno con altre realtà produttive, ma l'artigianato continua a definirci a livello italiano e ha il potenziale di un volano, motore di crescita e sviluppo” rivela con orgoglio De Bartolomeis. Il direttore, che in passato ha collaborato con il Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina – Madre per l'artista sud-coreana Yeesookyung e con la Fondazione Made in Cloisters per l'artista Diego Cibelli, è stato adesso attivamente coinvolto da Labinac e Thomas Dane rispettivamente per le artiste Elisa Strinna e Phoebe Cummings. Dopotutto a lui si deve l'aver restaurato la filiera produttiva della Real Fabbrica di Capodimonte, cui l'Istituto Caselli è affiliato, rilanciando il brevetto del marchio e la scuola con un tavolo tecnico tra mondo universitario e produttivo che gli ha guadagnato uno stand come “best practice” alla prossima Design Week milanese. Infatti, sul fronte del design, l'istituto vanta anche collaborazioni con la designer Patricia Urquiola e l'architetto Santiago Calatrava.“Napoli è estremamente vivace sul contemporaneo, ed è importante mostrare che esistono forti sinergie perché spesso si parla di ceramica al passato” ribadisce il direttore. E cosa resta all'Istituto al termine di queste collaborazioni? “Quando è partner creativo, l'Istituto riceve una parte della produzione per il proprio catalogo, mentre nel caso del progetto del forno civico, messo a disposizione per il territorio, domanda uno scambio in forma di workshop per gli studenti” spiega il direttore. A volte, poi, l'Istituto è esecutore, per produzioni conto terzi regolarmente retribuite a prezzi di mercato, oppure mediatore. “Ho intercettato cinque, sei realtà produttive nel campo della ceramica, tutte localizzate in prossimità di Napoli – da De Martino a Brancaccio, da Attanasio a De Palma – e cooperare con loro è importante per la crescita professionale degli studenti” racconta. Dopotutto, il direttore non fa distinzioni tra arte, design o artigianato. “Non ho mai amato i confini tra mondi così affini, il dialogo fa nascere cose straordinarie, lasciamo stare le catalogazioni che servono allo storico.”

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