A repentaglio migliaia di imprese, ora si rischia il blocco totale del mercato
Prima del merito delle scelte dell’esecutivo, Ance contesta il metodo prescelto
di Giuseppe Latour
I punti chiave
3' di lettura
Blocco totale senza un regime transitorio adeguato. La presidente Ance, Federica Brancaccio, evoca spesso questo concetto, commentando a caldo le misure che hanno preso forma ieri e che sono state analizzate in tempo reale da un Consiglio generale dell’associazione dei costruttori. Il rischio, con un cambio così improvviso delle regole sul superbonus, è il caos nel presente: contenziosi, cantieri che si fermano, committenti che non hanno soldi per pagare gli interventi, migliaia di imprese in grave difficoltà. Ma anche per il futuro: «Se si cambiano le regole in corsa adesso, chi si fiderà più, investendo denaro in questi lavori?», dice Brancaccio.
Prima del merito delle scelte dell’esecutivo, Ance contesta il metodo prescelto: «Si è tanto parlato delle modifiche continue di queste norme con il precedente governo e ora ci troviamo con un intervento così improvviso, che peraltro non considera il vero tema, che è quello della cessione dei crediti incagliati».
Nel merito, l’impatto delle novità rischia di essere durissimo. «Anche se salviamo le Cila già presentate – spiega Brancaccio –, non mettiamo in conto che prima di arrivare alla Cila c’è un’attività che dura mesi, fatta di studi di fattibilità, di verifiche, di assemblee di condominio, tutto un processo del quale non si tiene conto».
Gli scenari
Cambiando a metà strada i bonus fiscali, poi, cambia l’impianto finanziario degli interventi, che spesso prevedono gli sconti in fattura. «Il pericolo – prosegue la presidente dell’Ance – è che contratti firmati al 110% vengano annullati, passando al 90%, perché sono cambiate le condizioni economiche». A quel punto si innescherebbe un contenzioso potenzialmente lunghissimo, perché le imprese avranno realizzato investimenti per effettuare le opere, mentre dal canto loro tra i committenti ci sarà chi non è in grado di sostenere le nuove percentuali, che dovranno per forza prevedere una quota più ampia a carico dei titolari delle detrazioni.
«Resta, poi, irrisolto il problema dei cassetti fiscali pieni di crediti che le imprese non riescono a liquidare. Un paradosso, perché se è impossibile monetizzare i crediti perde senso qualsiasi agevolazione, anche del 250%», dice Brancaccio.
Su questo proprio ieri è arrivata una proposta congiunta Abi-Ance. Brancaccio, insieme al presidente Abi, Antonio Patuelli, ha esortato l’esecutivo a «scongiurare al più presto una pesante crisi di liquidità per le imprese della filiera che rischia di condurle a gravi difficoltà a causa di crediti fiscali maturati e che in questo momento non è più possibile cedere».
Capitolo banche
Per rimediare a questo blocco, la proposta è agire sul lato della capienza fiscale degli istituti (si veda il Sole 24 Ore di ieri), con una misura straordinaria e a termine (della durata di tre-quattro anni). Gli F24 presi in carico dalle banche per conto dei loro clienti dovrebbero essere pagati in parte tramite i crediti fiscali in pancia agli istituti. Un esempio, anche se Abi e Ance non hanno fatto ancora stime: il correntista paga un F24 dal valore di 100 euro, la banca ne riversa 95 “liquidi” all’Erario e 5 attraverso crediti fiscali. Questo passaggio sarebbe indifferente per chi paga, ma consentirebbe di liberare rapidamente capienza: gli F24 pesano tra i 400 e i 500 miliardi di euro ogni anno. Ogni punto percentuale di questa operazione consentirebbe di liberare, allora, capienza per 4-5 miliardi all’anno. Numeri rilevanti, per un mercato che oggi ha una capienza stimata di circa 16 miliardi di euro all’anno e di circa 80 miliardi su base quinquennale.
Un periodo transitorio
La richiesta al governo, allora, sulle cessioni e sulla revisione del superbonus, è di fermarsi e sedersi a ragionare, anziché procedere per strappi. Brancaccio chiede «di non replicare gli errori che sono stati già fatti e aprire un tavolo di confronto per definire un quadro di regole chiaro e stabile che consenta all’Italia di non arretrare nel percorso di crescita e di raggiungimento degli obiettivi di risparmio e di autonomia energetica che la maggioranza di governo ha sempre dichiarato di voler perseguire».
Senza una gestione ordinata e un periodo transitorio di almeno tre/quattro mesi, il rischio è che davvero si fermi tutto.
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