la donne nella slicon valley

A Snap esplode l'ultima denuncia di discriminazione sessuale nell'hi-tech americano

di Marco Valsania

(Ap)

3' di lettura

NEW YORK - Ha licenziato soprattutto donne. E non si tratta di una vecchia azienda, dalla cultura maschilista inveterata e difficile da sradicare. No, è invece una dimostrazione del continuo problema al “femminile” che perseguita anche la new economy, l'hi-tech e Silicon Valley. Snap è stata costretta a patteggiamenti nell'ultimo anno davanti a denunce presentate da almeno tre dipendenti che avevano ricevuto sospette lettere di benservito. L'accusa: l'azienda avrebbe messo nel mirino in maniera sproporzionata e ingiustificata le donne.

I licenziamenti in questione, oltretutto, erano scattati dopo che un ingegnere in uscita da Snap aveva già sollevato in una e-mail proprio il problema della discriminazione e del sessismo dentro il social network, casa madre della app di messaging Snapchat divenuta popolare per la caratteristica di rapida sparizione di messaggi e foto condivise. Questa sfida difficilmente sparirà presto.

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Lo stesso chief executive di Snap, Evan Spiegel, aveva successivamente descritto quella e-mail come «un campanello d’allarme». Il testo recitava: «Ne ho abbastanza di lottare quando non sembra interessare a nessuno», riferendosi allo sforzi di cambiare le pratiche interne. Il gruppo rivendica però di aver di recente avviato proprio nuove politiche di sostegno e promozione delle dipendenti, compresi un summit interno e programmi di mentoring. Quattro donne e sei uomini sono oggi nella sua squadra di leadership.

I licenziamenti in questione erano scattati a partire dal marzo del 2018, nell’ambito di una strategia di snellimento del gruppo. Soltanto nella divisione dedicata a progettazione e strategie di crescita, che lavora a stretto contatto di gomito con i top executive, i sei licenziati in un unico round di tagli sono state in realtà sei licenziate. Tutte donne. Proteste di dipendenti che hanno notato la disparità di trattamento a livelli anche dirigenziali e tecnici del gruppo hanno visto l’azienda rispondere aprendo semplicemente il portafoglio: ha pagato pacchetti extra di buonuscita, in contanti e azioni, ad almeno tre delle licenziate eccellenti e controverse.

Portavoce di Snap hanno calcolato che il 70% dei 218 licenziati in totale durate la ristrutturazione del gruppo sono stati uomini. E che anche alcuni di loro hanno ricevuto buonuscite più generose. Hanno anche negato che le decisioni sulle riduzioni del personale abbiano avuto “nulla a che fare” con il sesso dei dipendenti.

Assicurazione che non bastano, alla luce di quanto emerso. Snap ha sollevato altre perplessità. E' stata finora tra le poche protagoniste del settore hi-tech a non pubblicare rapporti annuali sulla diversità della sua forza lavoro, donne e minoranze etniche, mostrando una trasparenza particolarmente scarsa.

Nè si tratta di una vicenda isolata. Silicon Valley, dai critici ribattezzata Brotopia - cioè una Utopia per “fratelli” maschi, dove spesso vige una cultura del silenzio su discriminazioni e abusi - ha nell’insieme un nodo tuttora da sciogliere quando si tratta dei rapporti con le donne sul lavoro. Più d'un colosso di alto profilo, da Uber a Google e a influenti società di venture capital specializzate in hi-tech, è rimasto coinvolto in scandali legati a un clima oppressivo ai danni delle dipendenti. Stando a studi del governo federale, solo il 30% dei dipendenti del settore è donna. Una sotto-rappresentanza che si ripete ai vertici: a Twitter il 32% dei leader sono donne, a Google il 25,5%, a Microsoft il 20 per cento. Una minoranza forse discriminata ma che di sicuro non intende essere ridotta al silenzio.

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