ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùUso dell'acqua e risparmio

A Taranto il dissalatore più grande d’Italia e si vuole costruirne uno anche per l’ex Ilva

Quello per uso potabile è un progetto da 100 milioni di Acquedotto Pugliese che ha approvato la gara. Per l'acciaieria un impianto offshore che dovrebbe rientrare nell'accordo di programma

di Domenico Palmiotti

(Bloomberg via Getty Images)

3' di lettura

Il dissalatore ad uso potabile più grande d'Italia verrà costruito alle porte di Taranto. La società Acquedotto Pugliese ha approvato la gara per realizzarlo. Si tratta di un investimento da 100 milioni di euro, che beneficerà di fondi Pnrr e che si prevede di completare nel 2026. L'impianto avrà una potenzialità di 55.400 metri cubi al giorno di acqua, tratterà 1.000 litri al secondo, e produrrà quotidianamente l'equivalente del fabbisogno idrico di 385.000 persone, un quarto della popolazione dell'area del Salento. Considerato che la Puglia importa dalle regioni limitrofe il 90% dell'acqua necessaria all'uso potabile, grazie alla dissalazione lo schema idrico regionale acquisirà una nuova fonte autonoma ed alternativa per l'approvvigionamento ed avrà una maggiore capacità di reagire alle crisi idriche.

Il prelievo dal fiume Tara che ha acqua salmastra

Utilizzando acqua salmastra - caratteristica di quella del fiume Tara - in luogo di quella marina che è più salata, sarà anche ridotto il consumo di energia elettrica. L'opera, progettata con attenzione all'ambiente, sarà la prima di grandi dimensioni in Puglia e sorgerà nelle vicinanze della presa d'acqua del Tara gestita a scopi irrigui e industriali dall'Eipli, l'Ente per lo sviluppo dell'Irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania e Irpinia. Col dissalatore, quindi, si potrà far fronte all'incremento delle richieste estive e ridurre il prelievo dell'acqua dai pozzi, contribuendo così al miglioramento dello stato delle falde sotterranee. Il progetto di fattibilità tecnica ed economica aveva di recente superato con esito positivo l'iter della conferenza di servizi preliminare.

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Appalto dell'opera entro l'anno

Entro il 2023 si prevede di avviare la fase di appalto. “La differenziazione delle fonti è fondamentale - commentano i vertici di Acquedotto Pugliese -. È il primo passo verso la realizzazione di un'opera ritenuta talmente strategica per il sistema da essere cofinanziata con il Pnrr”.Inoltre, il nuovo dissalatore di Taranto si integra con gli obiettivi del piano industriale di Aqp che prevede entro il 2026 investimenti per 2 miliardi finalizzati alla tutela della risorsa idrica, con l'obiettivo di recuperare 44 milioni di metri cubi di acqua, il miglioramento dell'economia circolare, con la gestione in house di 130 mila tonnellate di fanghi, e l'accelerazione sulla transizione energetica arrivando a produrre nel 2026 oltre 90 GWH di energia da fonti rinnovabili autoprodotta.

Il dissalatore per la fabbrica

Ma c'è un altro dissalatore che potrebbe essere costruito a Taranto. È quello offshore annunciato dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, tra i nuovi progetti che dovrebbero rientrare nell'accordo di programma per Acciaierie d'Italia. I progetti in questione, tutti ancora da approfondire, riguarderebbero investimenti nell'energia eolica attraverso i parchi offshore galleggianti (nel terminal container di Yilport a Taranto verrebbero assemblati gli impianti necessari ai progetti di Falck Renewables e BlueFloat Energy in Puglia), l'uso della loppa d'altoforno, un sottoprodotto, per produrre cemento, il rigassificatore galleggiante e la dissalazione dell'acqua, due impianti, quest'ultimi, rivolti al siderurgico. Attualmente l'ex Ilva prende l'acqua dai fiumi Tara e Sinni, dal primo in quantità maggiore rispetto al secondo. Uno degli ultimi approvvigionamenti mensili è stato di 2,687 milioni di metri cubi per circa 375mila euro da corrispondere come bolletta all'Eipli. Del dissalatore offshore ne ha parlato anche l'ad dell'azienda, Lucia Morselli, in un incontro al Mimit.

Due anni fa la prima ipotesi

L'idea non è nuova. Se ne parlava già due anni fa in sede di Contratto istituzionale di sviluppo per Taranto (Cis), quando si ritenne il dissalatore per fornire acque industriali all'ex Ilva la soluzione migliore rispetto alla costruzione di una condotta di collegamento tra i depuratori di Taranto, Bellavista e Gennarini, e il siderurgico. Nei tavoli tecnici furono confrontati i due percorsi (dissalatore e raccordo con i depuratori) e si rilevò che il risultato prefissato lo si poteva ottenere prima, e in modo economicamente più conveniente, realizzando l'impianto di dissalazione. Che avrebbe potuto contare anche sulla presa a mare di notevole capacità, più che idonea allo scopo, già usata per il raffreddamento degli altoforni. Si verificò, inoltre, che la condotta sottomarina di collegamento tra i depuratori Bellavista e Gennarini, rispettivamente a nord e a sud di Taranto, era in pessimo stato, in più punti inesistente, e peraltro in una zona soggetta ad autorizzazioni delicate. Il costo fu stimato in 23 milioni e ci sarebbero voluti dieci anni per la realizzazione del tutto. Di qui l'ipotesi, preferibile, della dissalazione che ora ritorna. Di risparmio idrico si parlava già nell'autorizzazione ambientale dell'acciaieria ma attraverso il progetto di rifunzionalizzazione dei deputatori Gennarini-Bellavista, poi cambiato col dissalatore. Rispetto a quest'ultimo, a febbraio 2021 sembrava tutto pronto o quasi, così almeno emerse ai tavoli in Regione con Aqp e Asset, l'Agenzia regionale di progettazione. L'impianto doveva essere fatto con la partecipazione finanziaria dell'ex Ilva ma il prosieguo del progetto si arenò.


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