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Aborto, proseguono le polemiche. Anche dalla Francia un alert a Giorgia Meloni

La premier francese dice che «vigilerà» sul rispetto dei diritti umani. Il 28 settembre la giornata internazionale sull’interruzione di gravidanza

di Dario Aquaro

Aborto, flash mob di "Non una di meno" a Milano

5' di lettura

La Francia si è detta subito preoccupata. «Non commento la scelta democratica del popolo italiano», ha premesso il primo ministro francese Elisabeth Borne, intervistata il 26 settembre su Bfm Tv. Ma «ovviamente saremo attenti, con la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, a garantire che questi valori sui diritti umani, sul rispetto reciproco, in particolare sul rispetto del diritto all’aborto, siano rispettati da tutti».

E la preoccupazione emerge anche dalle righe di El Pais: «La Meloni – sottolinea il giornale spagnolo – ha posto al centro del suo intervento elettorale la difesa di una famiglia tradizionale che esclude altri modelli, i tagli agli aiuti sociali per i più deboli, una politica molto restrittiva contro l’immigrazione e chiaramente regressiva delle conquiste sociali delle donne, in particolare in relazione al diritto all’aborto».

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Commentando le parole della premier francese post-voto, ai microfoni di 24 Mattino, su Radio 24, il cofondatore di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli ha tenuto invece a ribadire un concetto già espresso dalla leader Giorgia Meloni: «Non abbiamo alcuna intenzione di toccare né i diritti umani né il diritto all’aborto. L’abbiamo detto in lungo e in largo, è stata organizzata una campagna veramente penosa da parte dei nostri avversari». «Non si può insudiciare l’immagine di una nazione intera cercando di colpevolizzare e demonizzare i propri avversari. Noi abbiamo spiegato in campagna elettorale che non toccheremo la 194», ha quindi sottolineato Rampelli.

La battaglia di Spadaccia

Il dibattito si è acceso in campagna elettorale. Mentre domenica 25, il giorno del voto, è scomparso a Roma, a 87 anni, Gianfranco Spadaccia: ex parlamentare e politico che – tra le altre lotte legate ai diritti civili – è stato protagonista della battaglia per la depenalizzazione del reato di aborto. La battaglia che portò alla nascita della legge 194 del 1978: per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.

Spadaccia, che partecipò alla fondazione del Partito Radicale (di cui fu segretario nel 1967, nel 1968 e dal 1974 al 1976), nel 1975 fu arrestato dopo essersi autodenunciato per l’appoggio all’associazione Cisa, fondata a Milano da Adele Faccio, che dava assistenza alle donne in una villa alla periferia di Firenze. Lì dove avevano fatto irruzione i carabinieri, scoprendo una quarantina di pazienti in attesa di abortire e arrestando il medico che vi operava. Il blitz era partito da un’inchiesta del settimanale di estrema destra “Candido”, diretto dal senatore missino Giorgio Pisanò («A Firenze abbiamo scoperto l’industria rossa degli aborti», titolava). Spadaccia si assunse quindi la responsabilità di quella disubbidienza civile e si mise a disposizione delle autorità («L’appoggio al Cisa è un impegno congressuale del partito radicale», disse).

I radicali contro la destra

La fiamma tricolore del Msi campeggia oggi nel simbolo di Fratelli d’Italia, che ha vinto queste elezioni politiche con il 26% dei voti. Mentre il partito erede dei radicali è Più Europa, fermatosi al 2,9%, di cui Spadaccia stesso è stato il primo presidente.

«Siamo stati, con Marco (Pannella, ndr) e tanti altri, tra gli artefici di quella promozione e conquista dei diritti civili in Italia. Dal divorzio, all’obiezione di coscienza, dalla riforma del diritto di famiglia alla depenalizzazione del reato di consumo di stupefacenti, fino al suo arresto come segretario del Partito Radicale, insieme a quelli di Adele Faccio e mio, che spianò la strada alla depenalizzazione del reato di aborto e alla legge 194». Questo il ricordo di Emma Bonino, leader di Più Europa che però resterà fuori dal Parlamento.

Intanto, a 44 anni di distanza da quella legge, la discussione politica era ripartita. «Ho ripetuto in tutte le lingue che non abbiamo intenzione di modificare la legge 194, ma che vogliamo applicarla tutta, a partire dalla parte sulla prevenzione, istituendo tra le altre cose anche un fondo per aiutare le donne sole e in difficoltà economica a portare a termine la gravidanza, se vogliono farlo», sono state le parole della presidente di Fratelli d’Italia. «Questo significa battersi per l’autodeterminazione delle donne. A questo vogliamo affiancare un piano di sostegno alla maternità e alla famiglia. Nessun diritto negato, anzi opportunità in più per provare a salvare una vita. Non togliere diritti, ma aggiungerne».

Meloni ha assicurato che non cambierà la legge 194? «Capisco benissimo, è più facile semplicemente non applicarla – aveva quindi osservato Bonino – . Si lascia lì, non si tocca la legge, ma aumentano gli obiettori di coscienza: in regioni come Marche e Abruzzo non c’è più un ginecologo non obiettore. La signora Meloni ha scelto la strada non dello scontro diretto ma della semplice non applicazione della legge».

Un dibattito internazionale

Il tema è caldo (anche di più) negli Stati Uniti. Dove la Corte Suprema ha revocato la sentenza Roe vs Wade del 1973 che aveva legalizzato l’aborto, lasciando gli Stati liberi di vietare l’interruzione di gravidanza. Dove la Casa Bianca ha condannato come «catastrofica» la decisione di un giudice in Arizona di ripristinare un divieto all’aborto del 1864, che vieta l’interruzione di gravidanza dopo la 15esima settimana, anche in caso di stupro o incesto, e prevede il carcere fino a cinque anni per chi aiuta una donna ad abortire. E dove il presidente Joe Biden ha attaccato la legge per vietare l’aborto a livello nazionale che Lindsey O. Graham e altri repubblicani promettono di far approvare, se prenderanno il controllo del Congresso alle prossime elezioni di midterm.

Negli Usa – scrive il Financial Times – la sentenza Roe vs Wade potrebbe influire sulle elezioni di medio termine in programma l’8 novembre: perché la difesa del diritto all’aborto sta stimolando i democratici e presenta diverse sfide ai repubblicani. E sempre da Oltreoceano è arrivato qualche giorno fa il commento critico del New York Times, in vista delle elezioni italiane. «Giorgia Meloni potrebbe essere la prima donna a guidare l’Italia. Ma non tutte le donne sono felici», è il titolo di una corrispondenza del 23 settembre. L’articolo spiegava il timore di molte attiviste che «l’agenda di estrema destra della leader di Fdi, i suoi discorsi contro l’aborto, l’opposizione alle quote e altre misure possano far arretrare la causa delle donne».

Manifestazioni in arrivo

Si vedrà. Resta da dire che il 28 settembre sarà la giornata internazionale per il diritto all’aborto. E già si moltiplicano gli appelli alla mobilitazione. In Francia – per tornare ai commenti della premier d’Oltralpe – un gruppo di associazioni e sindacati hanno lanciano un appello a manifestare per difendere l’accesso alla legge sull’interruzione di gravidanza (Ivg), che ritengono troppo stesso ostacolata. A Parigi e in altre grandi città del Paese. La giornata di mobilitazione è promossa dal “Collectif national pour les droits des femmes”.

Mentre in Italia l’associazione “Non Una di Meno” tornerà lo stesso giorno nelle piazze, perché «in questo nuovo assetto politico, l’Italia si schiera dalla parte del flusso reazionario che coinvolge paesi come gli Stati Uniti, Ungheria, Polonia e Malta, dove l’aborto è sotto attacco».


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