I nodi dell'industria

Acciaio, 60mila lavoratori a rischio in Italia tra ex Ilva e JSW

I sindacati chiedono che si esca dalle indecisioni e preparano lo sciopero nazionale del 10 novembre

di Domenico Palmiotti

G20, Biden e von der Leyen annunciano accordo stop dazi acciaio

4' di lettura

Ci sono 60mila lavoratori della siderurgia, tra diretti e indiretti, a rischio in Italia tra gli stabilimenti ex Ilva, ora Acciaierie d'Italia, di Taranto, Genova, Novi Ligure, Racconigi e Marghera e le acciaierie di Piombino, attualmente in mano agli indiani di JSW. E questo malgrado il settore sia in una congiuntura favorevole grazie ad una forte domanda di acciaio e alla ripresa post pandemia e tante aziende stiano marciando molto bene.

Lo hanno dichiarato l'8 novembre, in una conferenza stampa a Roma, i vertici nazionali di Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm presentando lo sciopero di 8 ore che avrà luogo il 10 novembre in tutti i siti industriali coinvolti con una serie di presidii a Roma, sotto le sedi dei ministeri piu direttamente interessati alle due vicende. Il polo produttivo più importante è l'ex Ilva di Taranto, per il quale i sindacati parlano di «situazione è drammatica» e dove «anche se in taluni casi c'é stata una risalita produttiva, questa non si è tradotta in aumento di occupazione».

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Produzione al di sotto delle potenzialità

Attualmente lo stabilimento di Taranto è per le sigle metalmeccaniche ai «livelli più bassi di produzione». Secondo i numeri forniti dai sindacati, «a Taranto ci sono ora 2.300 lavoratori in cassa integrazione ordinaria, più altri 1.600 di Ilva in amministrazione straordinaria anch'essi in cassa ma straordinaria. E di questi 1.600 di Ilva in as nessuno dice nulla, sembra che siano stati derubricati». Inoltre ci sono i 4mila dell'indotto, definiti dai sindacati «i più esposti, i più bistrattati» visto che si registrano ritardi nei pagamenti delle fatture da parte di Acciaierie d'Italia alle imprese “satelliti”.

Proseguendo l'esposizione, le tre federazioni metalmeccaniche dicono che «a Genova sono in cassa integrazione altri 200 a rotazione, piú altri 280 di Ilva in amministrazione straordinaria. A Genova, nonostante la richiesta del mercato, si producono circa 700mila tonnellate contro un milione di tonnellate che si possono produrre».

«A Novi Ligure - si evidenzia - ci sono 100 lavoratori in meno nell'organico rispetto agli accordi e 200 sono collocati in cassa. Novi Ligure ha potenzialità produttive per 1,100 milioni di tonnellate ma ne produce solo 700mila». Secondo Rocco Palombella, della Uilm, «dal lontano luglio 2019, cioè dopo pochi mesi dell'acquisizione di Ilva da parte di ArcelorMittal, c'è stato l'inizio della cassa integrazione, da Taranto a Genova, da Novi Ligure a Marghera. Dalla cassa per crisi di mercato, siamo passati a quella Covid e tutt'oggi Acciaierie d'Italia ha continuato a chiedere cassa integrazione».

Ex Ilva, impianti non in grado di assecondare il mercato

«Siamo passati da una fase in cui ArcelorMittal pensava di tagliare la produzione di 3 milioni di tonnellate in Europa ad una in cui non siamo in grado di far fronte alla domanda perché non abbiamo gli impianti in funzion» aggiunge Palombella. Per JSW, i sindacati affermano che «Piombino marcia con 3 treni, ma é una marcia subordinata all'arrivo di materie prime. Più volte è stato annunciato il forno elettrico dopo lo stop dell'altoforno avvenuto ad aprile 2014, si sono avvicendate promesse tra preridotto e forno elettrico, Jindal continua a promettere investimenti, ma non vediamo nulla. L'ultima data per Piombino - si afferma - é ora quella del 30 di novembre, ma temiamo che sarà come tutte le altre, disattesa».

A proposito di Acciaierie d'Italia, la nuova società ormai operativa da alcuni mesi formata da ArcelorMittal per il privato e Invitalia per lo Stato, Palombella dice che «non abbiamo nemmeno avuto la possibilità di incontrare il nuovo presidente Franco Bernabè. Abbiamo salutato positivamente l'ingresso dello Stato - aggiunge -, ma questo deve esprimersi in un controllo severo. Invece nella gestione dell'ex Ilva non è cambiato nulla, anzi si peggiora».

Un fondo sociale per gli impatti della decarbonizzazione

«Siamo difronte ad un vuoto temporale inaccettabile - incalza Roberto Benaglia della Fim Cisl -. Prima dell'estate, ci garantivano per l'ex Ilva l'accelerazione del piano industriale. Questo non è avvenuto. Ora si parla di fine anno. Complessi del genere non possono essere lasciati nel limbo». Secondo Benaglia, serve «un fondo sociale per la decarbonizzazione» per gestire gli impatti occupazionali che inevitabilmente avrà la ristrutturazione della siderurgia con l'abbandono del carbone. «La decarbonizzazione deve essere socialmente sostenibile - sostiene Benaglia -. G20 e Coop 26 ci hanno indicato quanto è importante la decarbonizzazione, ma questa non la paghiamo noi. Il ministro Giorgetti ha detto che ci sono i fondi del Pnrr, sino ad un miliardo e 300 milioni, per la decarbonizzazione, ma qui servono anche risorse per il sociale, per i lavoratori. Che non significa ricorrere alla cassa integrazione ma pensare a soluzioni occupazionali diverse». Ad avviso di Benaglia, «serve un fondo sociale finanziato negli anni che punti a nuove soluzioni. Diciamo no a slide che dicono esuberi zero ma che in realtà sono delle ipocrisie».

L'incognita dei costi dell'energia

Gianni Venturi della Fiom Cgil rileva che «nel 2021 è salita ulteriormente l'importazione di acciaio e la nostra dipendenza dall'estero. C'é una domanda superiore all'offerta, per cui la situazione dei grandi gruppi va assolutamente risolta. Non a caso diciamo che il tempo é scaduto». E se è vero che «la produzione di acciaio del nostro Paese va verso l'elettrificazione, questo - sostiene Venturi - implica importanti questioni come i consumi energetici e i costi dell'approvvigionamento. Il nuovo piano siderurgico va intrecciato con quello energetico». Perché, conclude Venturi, se «avremo acciaio tutto da forno elettrico, c'è un problema di rottame, c'è un problema di approvvigionamento. E anche nel caso del preridotto esiste un nodo di costi di produzione e di energia».


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