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Acciaio, Ex Ilva: Mittal e Stato italiano di nuovo ai ferri corti

Scontro sull'impianto del preridotto per la produzione green. In ballo un miliardo del Pnrr. Morselli: dobbiamo occuparcene noi. Dri d'Italia (pubblica): la competenza è nostra

di Domenico Palmiotti

Urso: Ex Ilva, condiviso con azionista piano per più grande acciaieria green d’Europa

4' di lettura

Sull'ex Ilva è scontro sul miliardo del Pnrr per costruire a Taranto l'impianto del preridotto di ferro, il semiprodotto che dovrà alimentare i futuri forni elettrici della fabbrica dell'acciaio, ridurre le emissioni e attuare la decarbonizzazione. Lo scontro oppone la parte pubblica, in questo caso la societa Dri d'Italia che fa capo a Invitalia (Mef), a quella privata Mittal che controlla il 62 per cento di Acciaierie d'Italia (l'altro 32 è nelle mani di Invitalia). Sull'impianto del preridotto le risorse ci sono (legge n. 175 del 17 novembre 2022, decreto Aiuti Ter) e Dri d'Italia sta andando avanti.

A luglio sceglierà tra le due tecnologie in campo e a settembre formalizzerà il contratto. L'impianto entrerà in funzione nel 2026, sarà nell'ex Ilva e produrrà circa 2 milioni di tonnellate all'anno di preridotto. Anche i siderurgici privati sono interessati alla partita e lavorano con Dri d'Italia per un secondo impianto di preridotto dopo quello per l'ex Ilva (da finanziare). La strada sembrerebbe in discesa e invece pubblico e privato sono ai ferri corti. Come rivela una lettera che l'ad di Acciaierie d'Italia, Lucia Morselli (designata da Mittal e ad anche prima, quando il gruppo era solo Mittal e non aveva la partecipazione di Invitalia), ha inviato a Dri d'Italia, a Ilva in amministrazione straordinaria (società proprietaria degli impianti dati in fitto ad AdI) e ai ministri delle Imprese e degli Affari europei, coesione e Pnrr.

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Acciaierie d'Italia: tutti i motivi del dissenso

Morselli parte da una contestazione di metodo e poi allarga il campo sino a chiedere che sia AdI ad occuparsi del preridotto. Il metodo: AdI è esclusa “dalla condivisione di documenti e interlocuzioni essenziali. Dri ha trasmesso la propria relazione tecnica sul progetto ad Ilva in as ma non a AdI, il gestore dello stabilimento di Taranto e destinatario della produzione dell'impianto DRP” (il preridotto). Il merito: Dri d'Italia, accusa Morselli, “avrebbe addirittura indetto la gara d'appalto per la realizzazione dell'impianto senza coordinamento delle specifiche tecniche alla base della gara con l'utilizzatore della produzione dell’impianto in gara”, cioè la stessa AdI. Inoltre, prosegue Morselli, “l'impianto di preridotto prevederebbe una capacità del 20% inferiore a quella necessaria per alimentare il forno SAF” (forno elettrico). E ancora, “Dri pretenderebbe di effettuare le attività di caratterizzazione ambientale delle aree interne allo stabilimento di Taranto prima di avere un titolo giuridico sulle aree stesse con il rischio che sia il gestore AdI a doversi fare carico di eventuali opere di messa in sicurezza”.

Inoltre, per Morselli “non è affatto chiaro come l'impianto DRP riceverà e immagazzinerà le materie prime, si alimenterà di energia e smaltirà i suoi effluenti”; “la realizzazione separata dell’impianto DRP e del forno SAF produce diseconomie sia nella fase di appalto che di gestione, oltre a sollevare il rischio concreto di incongruenze di natura tecnica che rischiano di pregiudicare il corretto funzionamento dei due impianti”; “Dri è decisa a costruire l’impianto senza neppure sapere a quali condizioni commerciali venderà la propria produzione”. Tutto questo per arrivare al punto: “Si giunga a definire un assetto che deleghi la realizzazione dell'impianto DRP ad AdI prima ancora della sua gestione, ovvero a chi ne ha le capacità tecniche ed operative, oltre che la responsabilità gestionale dello stabilimento in cui l'impianto dovrà insistere ed in particolare del forno SAF con cui l'impianto dovrà essere integrato”, scrive Morselli.

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Dri d'Italia (Invitalia): così si mette a rischio il progetto

Asciutta e netta la replica di Dri d'Italia. Quanto dice AdI con Morselli è “in totale contrasto con le norme che definiscono le modalità di intervento dello Stato nel processo di decarbonizzazione dell’acciaio e con potenziali ricadute negative sulla sua attuazione”. Dri d'Italia precisa che “la propria missione è definita da due leggi dello Stato” e “in coerenza con quanto disposto dalla legge, Dri d'Italia sta lavorando e continuerà a lavorare per rispettare i tempi del Pnrr che prevedono la realizzazione dell’impianto di preridotto entro giugno 2026”. Lo scontro sul preridotto è solo l'ultimo episodio di una difficile convivenza tra privato e pubblico nell'ex Ilva e non è un caso se adesso ha ripreso quota l'ipotesi di accelerare il passaggio dello Stato in maggioranza in AdI (60 per cento) effettuando l'operazione entro l'anno mentre ora è collocata entro maggio 2024. A tal fine, il Governo utilizzerebbe la legge sugli impianti strategici (numero 17 dello scorso 3 marzo) e convertirebbe in capitale i 680 milioni che Invitalia ha erogato ad AdI.

I precedenti che rivelano una difficile convivenza

Diversi sono gli episodi che segnano il rapporto difficile tra pubblico e privato nell'acciaio. Il preridotto è solo l'ultimo casus belli. A fine 2022 ci volle più di un mese perché nel cda pubblico e privato trovassero l'intesa sull'altro miliardo stanziato per l'ex Ilva, quello del dl Aiuti Bis, tant'è che Franco Bernabè (presidente sia di AdI che di Dri d'Italia) disse: “Lo Stato e ArcelorMittal decideranno come proseguire, se lo riterranno, questa collaborazione”. In quell'occasione, infatti, Mittal voleva che i fondi andassero a sostegno della liquidità dell'azienda, in gravi difficoltà sotto questo profilo, mentre il Governo al riequilibrio della governance societaria. Poi fu trovata la sintesi nel dare sì le risorse ad AdI (680 milioni) ma mettendo nelle mani del Governo la possibilità di convertirli in capitale. Ultimamente il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha dichiarato: “Ci aspettiamo a breve una risposta dell'azienda, altrimenti interverrà lo Stato. L'investitore straniero deve dimostrare di credere nella trasformazione dell'acciaieria di Taranto - e in generale di quello che era l'ex Ilva - per farne il più grande sito siderurgico green in Europa. Si può fare. Se non ci credono loro, lo Stato se ne assume la responsabilità e troverà chi ci crede insieme a noi”. E anche Bernabè in una lettera al Governo e a Invitalia ha evidenziato: “Le diversità di assetto azionario tra Dri d'Italia e Acciaierie d'Italia comportano oggettive difficoltà nel coordinamento tra rispettivi piani industriali”.


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