ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIntervista a Patrizia Ranzo

«Accompagnare le imprese nelle transizioni ambientale e digitale»

Architetto, designer e docente di disegno industriale

di Vera Viola

Ricerca. Officina Vanvitelli è l’infrastruttura di ricerca dell’ateneo campano

3' di lettura

«La moda e il design, non risiedono solo a Milano, ma abitano anche al Sud. Ci sono imprese, formazione, ricerca: c’è tanto. Ma, come sempre accade, nel Meridione non nasce un sistema. Noi cerchiamo di abbracciare questa nuova sfida». Ce ne parla Patrizia Ranzo, architetto e designer, professore ordinario di Disegno Industriale presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” . È una dei fondatori, o forse l’ispiratrice dell’ormai più che ventennale Corso di laurea in design dell’università campana. Dopo aver lavorato a livello internazionale, allieva di Ettore Sottsass e Andrea Branzi, fa ritorno in Italia per svolgere il suo ruolo di ricercatrice e docente.

Professoressa Ranzo, lei partecipa al progetto della Regione di istituire un distretto innovativo del design e della moda, con grande passione ed entusiasmo, ma con quali obiettivi? In altre parole, quale è la sua proposta?

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Partirei dal precisare che il distretto della Moda in Campania esiste nei fatti ed è ormai una realtà consolidata. Abbiamo grandi, medie e piccole imprese, abbiamo centri di formazione, di ricerca e l’università che svolge un ruolo catalizzatore e propulsivo. Ma ci troviamo a dover affrontare grandi cambiamenti, le ormai citatissime transizioni ambientale e digitale. Questa deve essere la missione principale del distretto: accompagnare il sistema economico regionale in queste grandi sfide. Con l’Università siamo fortemente impegnati anche sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Ma questa non rischia di “mortificare” la creatività che è parte importante di moda, design....?

È necessario adottare sistemi di intelligenza artificiale, purchè siano sempre guidati dall’uomo. Possiamo già impiegare tecnologie molto avanzate nella lavorazione dei tessuti, delle pelli, nella programmazione di sfilate.

Quindi lei pensa a un progetto che identifica nel soggetto “Distretto” il motore della trasformazione che dovrà interessare e già coinvolge tutti i settori produttivi?

Quando parliamo di design parliamo di un approccio multidisciplinare di studio e progettazione di ciascun prodotto. Oggi il nostro Dipartimento universitario lavora anche con il settore dell’auto – infatti abbiamo progettato nuove auto e bus elettrici – con il settore della bio cosmetica. Ci siamo occupati persino di un progetto di riutilizzo di prodotti alimentari. È stata appena conclusa, a esempio, una ricerca su alimenti cosmetici. Insomma, lavoriamo in numerosi campi.

Quindi l’innovazione e la sostenibilità devono diventare trampolino di lancio di un comparto produttivo – moda e design– che al Sud ha tradizioni, ma è ancora poco visibile?

Parliamo di un comparto di grandi potenzialità che ha resistito bene al Covid. Così il design. Nel Meridione abbiamo più tessile e abbigliamento, il design deve crescere. E credo che formazione e ricerca siano leve fondamentali.

Sono interessate e disponibili a un confronto con le università le imprese meridionali? 

Lo sono senz’altro. Il nostro ateneo dialoga con una vasta comunità di più di 200 imprese. Con alcune abbiamo rapporti consolidati: i nostri allievi progettano prodotti, organizzano eventi e talvolta li promuovono anche. Concludono gli studi con stage e tirocinii e un buon numero viene anche assunto. Tornando alle imprese, io penso che abbiano saputo utilizzare la gravissima crisi del Covid per investire e avviare un processo di trasformazione. Oggi riescono a interpretare bene le nuove esigenze di un consumatore evoluto e a sua volta più orientato a scelte razionali che tengano conto di preservare salute e ambiente. Bisogna dar loro atto di tutto ciò. Ma è anche vero che abbiamo un tessuto economico fatto di piccole e piccolissime realtà, tante monadi talvolta isolate, quindi l’università con la formazione e la ricerca deve riuscire a diffondere questa cultura e trasferire conoscenze. La nostra Officina Vanvitelli a esempio è uno strumento molto utile a questo scopo, poichè è una sorta di sperimentatore a disposizione di tutti, dotato di creatività, passione e strumentazioni sofisticate. È stato un grande e strategico investimento del nostro ateneo che ci rende competitivi su scala internazionale.

Presto ritengo che questa infrastruttura sarà messa a disposizione di nuovi programma da realizzare con grandi gruppi internazionali del lusso per l’alta formazione.

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