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Un sasso in piccionaia. È questo l’effetto delle proposte di revisione della vigilanza prudenziale firmata dalle tre autorità americane presentate per consultazione nel pieno dell’estate. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto un rapporto ambivalente (fluido, si direbbe nel linguaggio di oggi) nei confronti degli accordi di Basilea, che hanno applicato alle grandi banche, ma non al resto del sistema. L’Europa invece ha tradotto quegli accordi in direttive che sono state poi recepite dalle leggi nazionali e quindi rese vincolanti per tutti, dai giganti bancari con attivi superiore al trilione di euro, alle piccole banche locali.
La proposta è articolata su vari punti. Primo: comporta un aumento dei requisiti di capitale, soprattutto per le banche più grandi. Secondo: abbandona almeno per quanto riguarda il rischio di credito la possibilità di utilizzare i modelli interni per la stima del rischio e quindi del capitale necessario. Terzo: il rischio di mercato, dovrà essere calcolato, anche usando modelli interni, in modo più granulare per ogni singolo trading desk. Quarto: la soglia per l’applicazione delle nuove regole viene abbassata da 250 a 100 miliardi di dollari. In ogni caso, le autorità stimano che i maggiori requisiti di capitale potranno essere coperti quasi interamente con adeguati accantonamenti degli utili di bilancio.
Secondo prime stime, le nuove regole comportano un aumento del capitale rispetto al totale attivo ponderato di circa due punti percentuali, distribuiti però in modo progressivo. Le grandi banche, in particolare quelle di rilevanza sistematica, dovrebbero aumentare il proprio capitale di circa un quinto rispetto al livello attuale; quelle con attivo compreso fra 250 miliardi e un trilione di dollari del 10%; le altre del 5 per cento. Dunque tutt’altro che una manutenzione ordinaria. Si riconosce che il processo di ricapitalizzazione delle banche dopo la Grande crisi finanziaria non è finito, nonostante che i grandi istituti continuino a ricomprare azioni per incrementare il rendimento del capitale (e con esso i sontuosi bonus dei manager). Si abbandona il discusso sistema dei rating interni, almeno per il rischio di credito, il che significa che – a circa venti anni da quando Basilea-2 aveva introdotto questa innovazione – permangono troppe differenze fra banca e banca che non giovano alla trasparenza e tanto meno alla stabilità. Sempre per quanto riguarda il rischio di credito, si conferma il più severo sistema americano per i mutui ipotecari. Infine, si prende atto che nell’attività delle grandi banche sui mercati finanziari ci possono essere rischi latenti che devono essere valutati in modo più analitico. Basti ricordare che in un numero ristretto di banche americane (tutte di rilievo sistemico) ci sono derivati per valori nozionali di centinaia di trilioni di dollari. La reazione del settore, come c’era da aspettarsi, è stata veemente e basata su due temi: non c’è bisogno di nuovo capitale e comunque le autorità hanno reagito in modo sproporzionato alla crisi delle banche regionali di primavera. Quest’ultima critica è infondata: la riforma era partita anni fa, come è ovvio per regolamentazioni così complesse e poi come si è visto l’onere che ne deriva cresce con le dimensioni delle banche. Una cosa è certa: la Grande crisi finanziaria ha dimostrato che il sistema precedente era totalmente inadeguato: Lehman era perfettamente in regola fino al giorno del collasso. Da allora, nuove norme sono state rapidamente approvate e la ricapitalizzazione delle banche è stata realizzata a passo di carica. È un fatto che oggi le banche hanno più capitale e di migliore qualità. Ma l’adeguatezza è un fatto relativo e basta leggere uno qualsiasi dei rapporti sulla stabilità finanziaria delle varie autorità per rendersi conto che nel frattempo i rischi sono cresciuti e hanno assunto spesso forme non facilmente percepibili, che comunque si scaricano alla fine sulle banche.
Dunque una riforma che merita tutta l’attenzione dovuta a un documento così ampio e così innovatore. È quindi una chiamata in causa per il Comitato di Basilea e soprattutto per l’Europa. È infatti l’occasione per riconoscere che il sistema americano ha sempre comportato livelli di capitalizzazione superiori e dunque vantaggi competitivi alle banche d’oltreoceano. Inoltre, salvo l’incidente di percorso di Silicon Valley Bank, ha protetto le banche di territorio più di quanto accada in Europa. Se poi l’Europa sapesse rendere le regole un po’ più semplici di quanto oggi siano (in termini di efficacia, less is more, dicono gli inglesi) potrebbe essere l’occasione per rovesciare a favore del vecchio continente il vantaggio competitivo della regolamentazione.
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