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Accordo tra Letta e Calenda, 30% dei collegi ai centristi

Alla gamba centrista della coalizione il 30% delle candidature nei collegi uninominali e l’assicurazione che non vi saranno personalità divisive

di Emilia Patta

Letta: “Penso che vinceremo, ci siamo e vogliamo giocare questa partita per vincerla”

3' di lettura

«Senza la lista di Carlo Calenda e dei Radicali di Più Europa la partita non sarebbe stata in salita, ma semplicemente impossibile e persa in partenza. E di conseguenza non sarebbe stata credibile neanche la nostra campagna elettorale. Così ce la giochiamo, o almeno possiamo dirlo...». Fuor di taccuino un dirigente dem, nella giornata che mette un punto al balletto mediatico di “Calenda dentro o Calenda fuori” con la stretta di mano tra Enrico Letta, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova, sintetizza le ragioni dell’accordo dal punto di vista del Nazareno. Insomma in questa lunga e snervante trattativa la parte del manico la impugnava il leader di Azione.

Cosa ha ottenuto Calenda

Per questo la gamba centrista della coalizione ha ottenuto molto («sono soddisfattissimo», gioisce Calenda): intanto il 30% delle candidature nei collegi uninominali (di fatti 24 su 88 seggi, visto che una quota andrà alle candidature degli altri partiti della coalizione) a fronte di un quinto dei consensi rispetto del Pd, poi l’assicurazione nero su bianco che «le parti si impegnano a non candidare personalità che possano risultare divisive per i rispettivi elettorati nei collegi uninominali. Conseguentemente non saranno candidati i leader delle forze politiche che costituiranno l’alleanza, gli ex parlamentari del M5s e gli ex parlamentari di Forza Italia».

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I rischi per Di Maio

Ossia vince il veto di Calenda su l’ex 5 stelle Luigi Di Maio che ha appena presentato la sua lista Impegno civico, su Nicola Fratoianni di Sinistra italiana e su Angelo Bonelli di Europa Verde. E se Fratoianni e Bonelli hanno dichiarato per tempo di non aver bisogno di collegi uninominali ma pongono la questione della compatibilità del loro programma con il centro calendiano (oggi Letta, che ha bisogno di una gamba di sinistra per far concorrenza al M5s di Giuseppe Conte, dovrebbe vedere Si e Verdi e dare il via libera a campagne programmatiche autonome per presidiare ognuno il proprio bacino elettorale), per Di Maio le conseguenze sono più pesanti, visto che la sua lista potrebbe non raggiungere il 3% di sbarramento previsto dal Rosatellum.

Per questo, subito dopo aver siglato il Patto elettorale con Calenda, Letta ha fatto diramare una nota in cui si assicura «diritto di tribuna» nelle liste dem «ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza elettorale». Un salvataggio studiato apposta per il ministro degli Esteri, insomma, con il prevedibile strascico di polemiche e rancori sia tra i dimaiani («Letta ci ha traditi») sia tra i democratici («a forza di paracadutare gli altri non ci sarà più posto per noi»). Un incontro tra i due in serata non ha superato malumori e recriminazioni: Di Maio si è preso del tempo.

L’agenda Draghi

Ma più ancora che nella partita tutta politica delle candidature l’impronta “calendiana” emerge dai punti programmatici comuni che sono entrati nel Patto elettorale: oltre alla scontata assicurazione dell’asse atlantico e dei grandi Paesi europei contro «l’Italia alleata con Orban e Putin» che si prospetta sul fronte opposto, è il riferimento esplicito a Draghi e alla sua “agenda” ad essere indigesto per la sinistra alleata del Pd e anche per la sinistra dem, che vorrebbe marcare più a sinistra il programma del partito: «le parti condividono e si riconoscono nel metodo e nell’azione del governo guidato da Mario Draghi».

C’è poi il riferimento alla necessità di «correggere lo strumento del reddito di cittadinanza e il Bonus 110% in linea con gli intendimenti tracciati dal governo Draghi» e «la realizzazione di impianti di rigassificazione».

Da parte sua il Pd inserisce nel programma comune alcuni punti che erano assenti dal primo documento abbozzato giovedì scorso: il salario minimo, la riduzione del cuneo fiscale, il concetto più volte ripetuto di «sostenibilità ambientale» e di «transizione ecologica», l’«assoluta priorità» all’approvazione di leggi in materia di diritti civili e di Ius scholae.

Il destino di Renzi

Dal perimetro dell’alleanza che proverà a fermare la destra a guida meloniana resta fuori Matteo Renzi e la sua Italia Viva. La trattativa nei giorni scorsi si è incagliata su vari punti: prima la presenza di nomi divisivi (Maria Elena Boschi e Francesco Bonifazi oltre allo stesso Renzi) da candidare in alcuni collegi sicuri; poi il rifiuto di Calenda di ospitare Renzi e i suoi nella lista di centro; infine il rifiuto di Renzi di approfittare del novello «diritto di tribuna» uscito dal cilindro lettiano. Ma il segretario del Pd continua a non chiudere la porta (c’è tempo fino al 21 agosto, giorno del deposito delle candidature): «Il dialogo con Renzi è ancora aperto».

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