Aceto di vino, i ricavi in Italia restano davanti al balsamico
La versione classica diffusa (anche per usi non alimentari) nel 65% delle famiglie contro il 20% del Modena Igp che, nonostante il prezzo più alto, è al secondo posto in termini di fatturato e volumi
di Emiliano Sgambato
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Le famiglie comprano solo poche bottiglie di aceto l’anno e quindi le fluttuazioni della domanda sono più contenute rispetto ad altri prodotti e i trend d’acquisto risentono meno degli effetti di crisi e inflazione. Tuttavia dall’analisi dei dati emerge comunque che le quantità vendute siano diminuite, e un po’ di più per i prodotti più costosi. Una tendenza di mercato che ha rafforzato il primato dell’aceto classico (o di vino) sul Balsamico Igp nelle vendite interne, nonostante la crescente popolarità di quest’ultimo.
Di aceto “non balsamico” – accanto al classico o di vino, ne esistono altri tipi tra i quali quelli di mele e di riso, nicchie in crescita soprattutto prima della crisi – si parla infatti poco, ma rappresenta ancora il tipo più venduto in Italia sia in quantità che in valore. Esportazioni escluse, sia chiaro, dato che per il balsamico Igp queste valgono oltre il 90% del business.
«Dopo la crescita delle vendite in negozi e supermercati durante il periodo Covid, il 2022 è stato un anno di riassestamento, dove i consumi sono tornati in parte nel fuori casa. Gli aumenti record di vetro, plastica ed energia – commenta Giacomo Ponti, presidente del Gruppo Aceti di Federvini e alla guida della storica azienda di famiglia – sono stati scaricati solo in parte sui prezzi e hanno eroso i margini delle imprese. Del resto l’aumento del costo di una bottiglia, ad esempio, pesa molto di più se il prezzo del prodotto che questa contiene è basso, come nel caso dell’aceto. Se ai costi di prima non si tornerà più, crediamo comunque che ora sia iniziata una fase di diminuzione dei listini».
Sul fronte dei consumi, «se è vero che l’aceto è un bene con una domanda abbastanza rigida – continua Ponti – l’inflazione comunque si fa sentire sui bilanci delle famiglie con conseguenti travasi da una categoria di aceto all’altra. Così la crisi ha favorito l’aceto di vino, meno costoso di altri e più poliedrico. Del resto la penetrazione del balsamico nei consumi delle famiglie italiane è pari al 20% contro il 65% del non balsamico. Non è da sottovalutare infatti l’uso dell’aceto in ambito non alimentare, ad esempio per pulire le superfici, lavare e togliere i cattivi odori».
Tradotto in numeri, in Italia nel canale retail lo scorso anno sono stati venduti 67,8 milioni di litri di aceto classico (-3,6% annuo) per un valore di 57,9 milioni di euro (-0,4%). I litri di balsamico sono stati invece 7,2 milioni (-4%) per poco più di 51 milioni di ricavi (-0,1%). L’aceto di mele pesa per 8,5 milioni di litri (-3,5%) e 26 milioni di euro. Ma la tendenza ad acquistare prodotti di qualità e prezzo inferiore si nota nel balzo dell’aceto di alcool, una tipologia storicamente meno diffusa in Italia, ma che nel 2022 è cresciuta di quasi il 7% in termini di litri (13,4 milioni) e del l’11,5% in termini di giro d’affari (oltre 9,1 milioni). «In questo caso probabilmente pesa l’uso non alimentare perché in genere si tratta di un prodotto molto basilare, non è un caso che costi meno degli altri», commenta Ponti.
Se poi si aggiungono anche gli altri aceti (compresa la glassa di aceto balsamico, in crescita) in Italia nel 2022 sono stati venduti quasi 101 milioni di litri di aceto (-2,3%) per un business di 167,5 milioni di euro (pressoché stabile sul 2021). A cui si aggiunge il fuori casa.
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