Acqua, tre progetti italiani contro la siccità che colpisce il mondo
di Jacopo Giliberto e Enrico Verga
5' di lettura
Tre storie sull’acqua contesa. La prima storia è la tomba mai scoperta di Hulagu Khan nel lago scomparso di Urmia in Persia. Seconda storia, il lago Ciad in Africa. Terza storia, i grandi ingegneri italiani che spostano le acque del mondo.
Il primo lago, quello fra le montagne dell’Azarbaigian Persiano, era un vasto specchio d’acqua verde nel mezzo del quale c’era l’Isola Reale (Sciàhi) e oggi è uno stagno di color rosso sangue circondato da una pianura di sale candido e irritante.
Il secondo lago, il Ciad, si sta asciugando ma forse potrà tornare alla vita se sarà sviluppato uno dei progetti di grande ingegneria del territorio che negli ultimi duemila anni hanno reso famosi gli italiani nel mondo.
La terza storia d’acqua è quella degli ingegneri italiani, quelli che inventarono la laguna di Venezia (non è una creazione della natura), quelli delle grandi dighe in Brasile o ad Assuan e quelli di oggi del lago Ciad. Per esempio, Angelo Omodeo, socialista pavese di Mortara, ingegnere di dighe e opere irrigue in tutta Italia, nel 1931 fu chiamato da Josif Stalin a Mosca per aprire l’ufficio di progettazione dei grandi canali dell’Urss. Omodeo portò a Mosca una squadra di ingegneri come il giovanissimo parmigiano Nullo Albertelli e concepì la rete sovietica dei grandi canali come quelli che spostarono il Volga o prosciugarono l’Aral.
L’acqua dolce è il nuovo oro alla pari delle criptovalute e come nell’antichità anche oggi il potere si concentra nelle mani di chi controlla acqua pulita e potabile. Oggi è la Giornata mondiale dell’acqua e le storie d’acqua sono storie di culture umane. Ma l’acqua scrive anche storie di ambiente, di scienza, di meteorologia, di vita quotidiana. Niente acqua, niente vita per l’uomo e per le società che egli crea. Dice un proverbio antico veneziano: coltivar il mare e lasciar stare la terra.
L’isola del tesoro
Il nipote di Gengis Khan, Hulagu, visse nel Duecento, governò su un impero vastissimo e quando morì fu sepolto con un tesoro smisurato in una tomba segreta sull’isola in mezzo al lago di Urmia, in Persia. Ora il lago è quasi del tutto prosciugato; quelle che furono rive oggi sono una distesa di sabbia e sale su cui s’inclinano i relitti di battelli la cui vernice corrosa esplode per la spinta della ruggine. L’acqua che fu verde è rossa perché le alghe dunaliella cambiano tinta in presenza di alta salinità. L’isola in mezzo al lago non è più un’isola, ma una montagna circondata da un bassopiano di terra secca e polverosa; sulla montagna che fu un’isola la tomba del khan non è ancora stata trovata.
Da fonte di ricchezza a palude
Il lago Ciad divide i grandi deserti sabbiosi dalle savane e dalle giungle dell’Africa Centrale. Era il lago più grande del continente. Secondo l’Unep, dal 1963 al 1998 la superficie si è ridotta del 95%. Il bacino, ora una palude, è stato sfruttato in modo intensivo dai governi rivieraschi e delle comunità locali ma da qualche anno si sospetta che il disseccamento del lago sia dovuto anche all’inquinamento: lo smog originato in Europa avrebbe spinto verso Sud i percorsi delle piogge e avrebbe lasciato senza apporti il lago. Senza la mitigazione del grande lago, il clima della regione si è fatto più secco e il deserto ogni anno si spinge più avanti; la produzione agricola da sopravvivenza e la pesca da sussistenza in quei Paesi poverissimi sono crollate, ci sono conflitti civili locali tra agricoltori e allevatori per l’uso della poca acqua rimanente, sono a rischio le specie di pesci e gli animali selvatici che si abbeverano nel Ciad.
La rinascita italiana del lago Ciad
Pare ripartire con soldi cinesi il vecchio progetto italiano Transaqua, concepito una prima volta una quarantina d’anni fa dall’Iri. Il progetto di oggi prevede di scavare una rete di canali lunga 2.400 chilometri per intercettare alcuni affluenti del fiume Congo e deviarli verso il Ciad. Il progetto prevede impianti idroelettrici per una produzione dai 15 ai 25 milioni di chilowattora e un’area irrigabile tra i 50mila e i 70mila chilometri quadri.
Il progetto Transaqua proposto dalla società Bonifica in associazione con la Power Construction Corporation of China dovrebbe costare sugli 11-12 miliardi di euro e potrebbe rallentare la fuga di migranti africani verso l’Europa, ha affermato a un quotidiano ugandese il direttore tecnico di Bonifica, Franco Persio Bocchetto.
Il progetto però ha in sé alcuni rischi concreti, come l’istabilità politica di quella porzione di continente africano, la presenza di bande armate come quelle di Boko Haram e come la continua competizione fra i Paesi.
Città del Capo a secco
Città del Capo (4 milioni di abitanti) è ormai a secco perché si è prosciugato il bacino artificiale della diga di Theewaterskloof, alimentata dal fiume Sonderend. Creata negli anni 70, la diga può contenere 480 milioni di metri cubi e rappresenta il 41% della disponibilità della metropoli. I cambiamenti climatici riducono l’apporto di pioggia mentre cresce la domanda d’acqua della cittadinanza. Le politiche sudafricane puntano a contenere i consumi della città a 600 milioni di litri al giorno. Pare scongiurato per ora il giorno in cui dai rubinetti non uscirà altro che un sibilo d’aria, ma quando accadrà l’evento potrebbe essere il primo nel suo genere e offrirà una dimostrazione pratica su come può reagire una grande città che non ha altri accessi all’acqua potabile.
Geoingegneria cinese
Oltre all’Italia che ha fornito ingegneri per le grandi opere di mezzo mondo, c’è un altro Paese che affronta le sfide delle costruzioni: la Cina ha creato l’identità nazionale chiudendosi nella Grande Muraglia. Ora per portare acqua nel Nord del Paese, verso Pechino e verso le aree semidesertiche vicine alla Mongolia e al Gobi, la Cina ha lanciato il progetto colossale “Nan Shui Bei Diao”, ovvero Canale deviatore Sud-Nord, ovvero Snwdp (South-to-North Water Diversion Project). Si tratta di intercettare lo Yangtze e il Fiume Giallo pari a 44,8 milioni di metri cubi l’anno di acqua con 4.350 chilometri di canali colossali.
Il mare scomparso della steppa
Ed ecco nel centro dell’Asia il lago d’Aral, una volta un mare immenso fra le steppe dell’Asia Centrale, alimentato dai fiumi Syr Darya e Amu Darya che dal 1940 furono deviati dall’Urss per irrigare in Uzbekistan il cotone imposto ai sovkoz dai piani quinquennali.Oggi di quel mare resta appena il 20% che ha lasciato scoperto un terreno arido, salato e inquinato. Il vento trasporta sale e radioattività sulla popolazione intossicata ed esposta a malattie. Interventi condotti dai Paesi rivieraschi come Kazakhstan, Uzbekistan, Turkmenistan hanno fermato il disseccarsi del lago.
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