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Addio a Eugenio Scalfari, innovatore del giornalismo e paladino della cultura laica

Scalfari è stato un protagonista della cultura laica, rimasta sostanzialmente minoritaria in Italia

di Salvatore Carrubba

Addio a Eugenio Scalfari, innovatore del giornalismo

3' di lettura

Con Eugenio Scalfari non esce di scena solo un grande giornalista: a sottolineare il ruolo che egli ha avuto nella trasformazione e modernizzazione del sistema informativo nazionale basterà ricordare le esperienze dell'”Espresso” prima e di “Repubblica” dopo.

Educato alla scuola del suocero, il grande Giulio de Benedetti, e a quella del “Mondo”, Scalfari approderà nel 1963 alla direzione del settimanale che egli stesso aveva contribuito a fondare nel 1955. Con “L'Espresso”, la stampa italiana scopre un approccio all'informazione moderno e orgoglioso della propria autonomia e indipendenza dal potere, la difesa delle quali viene affidato a un inedito (per l'Italia) organo di tutela, ossia il Comitato dei garanti.

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L'”Espresso” di Scalfari sarà famoso per alcune grandi inchieste, tra cui quella rimasta storica sul presunto colpo di stato organizzato dal Sifar (dell'inchiesta è autore Lino Jannuzzi) che resterà negli annali del giornalismo anche per le furibonde reazioni suscitate. Qualche anno dopo sarà la volta del nuovo quotidiano, “La Repubblica”, con la quale pure Eugenio Scalfari, fondatore e direttore, assicurerà un contributo fondamentale al modo di fare informazione e giornalismo in Italia.

Addio a Eugenio Scalfari, tra i più grandi giornalisti del XX secolo

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L’impegno liberale

Scalfari rappresenta una cultura minoritaria in Italia: quello che sarebbe diventato un giornalista, nasce come operatore di banca, fin dall'inizio profondamente coinvolto nelle vicende politiche e sociali del suo tempo. All'indomani della guerra, è liberale; e offre un contributo importante al tentativo di trasformare il Pli da vecchio partito notabilare nella versione italiana di un liberalismo moderno e avanzato: al congresso di Firenze del 1953 firma, con Francesco Compagna, Enzo Storoni e Giovanni Malagodi, la mozione economica che porterà quest'ultimo alla guida del partito. Nella mozione che porta la firma di Scalfari si sentono gli echi del “Mondo” e si parla, tra l'altro, di «necessità…di escludere gli interventi statali e le tendenze nazionalizzatrici dovute a motivi astrattamente ideologici e passionali, o ad interessi egoistici di ogni colore», si invoca un'adeguata legislazione antitrust e anti dumping; si richiede una «politica commerciale sanamente liberistica».

Da Malagodi al Psi

Nello stesso anno, Scalfari è candidato liberale alla Camera, e polemizza, anzi è duramente attaccato da uno dei capostipiti di questo giornale, il “24 Ore” che ne aveva ospitato, senza gradire, un intervento a favore della nominatività dei titoli azionari e lo rimprovererà di «cercare (con quella proposta) farfalle sotto l'arco di Tito».

Il sodalizio con Malagodi durerà poco: gli esponenti della sinistra del partito, che ne avevano favorito l'elezione, resteranno presto delusi, decideranno di uscire dal Pli e daranno vita a un nuovo partito, quello radicale, per dare voce alle posizioni di sinistra democratica e liberale che tentava di aprire uno spiraglio alla morsa rappresentata dalla forza preponderante della Dc e del Pci. Negli anni 60, Scalfari sarà anche deputato socialista, il che non gli impedirà, successivamente, di sferrare un'opposizione durissima a Craxi. Quando, nel 1976, l'anno della fondazione del quotidiano, le elezioni politiche vedono la disfatta dei laici e il successo della Dc, Scalfari non ha perciò esitazioni ad accusare i laici di non aver mai «interpretato seriamente e rigorosamente profonde correnti ideali, ma semplici e mediocri interessi».

Il “partito di Repubblica”

L'accusa è certamente ingenerosa, ma denuncia lo scacco di quelle posizioni ideali alle quali lo stesso Scalfari si era formato, rivelatesi incapaci di costruire un'alternativa di governo (e, forse, per Scalfari, anche di stile) al potere democristiano. Nascerà da lì l'apertura di credito importante al Pci berlingueriano. Di questo mondo, di questa ambizione e dei reiterati tentativi per costruire un'autorevole presenza laica Scalfari resterà uno dei protagonisti. Politico non meno che giornalista, Scalfari non assicurerà mai un'informazione asettica e ipocritamente “equilibrata”, ma darà vita a quello che sarà chiamato addirittura un partito, il partito di “Repubblica”.

Come Montanelli, il grande antagonista espressione della cultura liberal-conservatrice, Scalfari si accetta o si respinge; senza poterne negare tuttavia lo straordinario fiuto giornalistico, la capacità di costruire una comunità coesa che è ben di più che non un semplice pubblico di lettori, di orientare il dibattito, di fare la fortuna o segnare il destino di questo o quell'uomo politico.

Protagonista della cultura laica

Una posizione così esposta naturalmente non mette Scalfari al riparo dalle critiche dettate proprio dalla sua ambizione di fare dell'informazione un potente strumento di formazione di opinione pubblica; e le sue ultime riflessioni di carattere anche filosofico si rifanno alle ascendenze razionaliste e illuministe alle quali Scalfari, con risultati discutibili ma con passione, professionalità e intelligenza indiscutibili, ha cercato di restare fedele tutta la vita.

Il saluto a Scalfari è dunque l'omaggio non solo a un protagonista della cultura italiana, ma a una cultura laica, rimasta sostanzialmente minoritaria (anche per molti errori commessi, a partire da una certa supponenza intellettuale), la cui affermazione avrebbe potuto contribuire a costruire un'Italia più europea.

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