Addio a Gillo Dorfles, filosofo e «artista» della critica dell’arte
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Pittore, filosofo, critico d’arte o forse dovremmo dire molto più semplicemente «artista della critica dell’arte». Una vita, innumerevoli vite quelle percorse da Gillo Dorfles nei suoi 107 anni d’età, un viaggio avventuroso lungo tutto il «secolo breve» che si conclude oggi nella sua casa di Milano.
Soltanto lo scorso 13 gennaio Dorfles aveva inaugurato alla Triennale di Milano una mostra di dipinti con 15 nuove tele realizzate lo scorso anno, a testimonianza del fatto che, nell’Italia del Terzo millennio, aveva ancora da dire la sua. Nato a Trieste nel 1910, dopo la Prima guerra mondiale si trasferì con la famiglia a Genova, dove trascorse l’infanzia, per poi rientrare nella città natale negli anni dell’adolescenza e iscriversi al Liceo Classico. Nel 1928 è a Milano per studiare medicina, dove si specializzerà in neuropsichiatria.
A partire dagli anni Trenta svolge un’intensa attività di critica d’arte collaborando per le principali riviste dell’epoca. L’esordio in pittura è di pochi anni successivo e nel 1948, insieme con Bruno Munari, Atanasio Soldati e Gianni Monnet, Dorfles fonda il Movimento Arte Concreta (Mac) per dare vita a un linguaggio artistico nuovo e superare le correnti astrattiste che attraversavano l’Europa. Negli anni Cinquanta parte la sua attività di filosofo che culmina, nel decennio successivo, nell’attività di docente di estetica presso le università di Milano, Trieste e Cagliari.
In tanti decenni di attività ha scritto monografie di artisti (da Bosch fino a Toti Scialoja), ha pubblicato studi sull’architettura e un saggio che ha fatto epoca sul disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica, 1963). Con un libro diventato un cult ha insegnato agli italiani cos’è il kitsch (Il Kitsch, antologia del cattivo gusto, 1968). E nel 2012, a 45 anni di distanza dall’uscita di quel testo che fu una pietra miliare per comprendere l’evoluzione del cattivo gusto nell’arte moderna, la Triennale di Milano gli ha reso omaggio con una mostra («Gillo Dorfles. Kitsch oggi il Kitsch») per descrivere il fenomeno in tutte le sue più recenti articolazioni.
Non solo un testimone, insomma. Ponendosi come figura trasversale e non canonica, Dorfles ha contributo in maniera sostanziale al rinnovamento nel dopoguerra dell’estetica italiana, del modo di vedere l’arte e la produzione di oggetti del nostro tempo, attento alla fotografia come alla pubblicità, spesso provando ad affrontare l’aspetto socio-antropologico dei fenomeni estetici e culturali, facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. Accademico onorario di Brera, Fellow della World Academy of Art and Sciences, Dottore honoris causa del Politecnico di Milano e dell’Universitad Autonoma di Città del Messico, ha ricevuto tantissimi premi, dal Compasso d’oro dell’associazione per il design industriale (Adi) al Premio della critica internazionale di Girona, Matchette Award for Aesthetics.
Negli ultimi tempi si era concentrato sulla passione per l’alchimia, suo vecchio pallino. Vitriol, l’enigmatico personaggio che aveva inventato nel 2010 e che ha dato il titolo all'ultima rassegna della Triennale, nasconde nel suo nome uno degli acronimi più usati dagli alchimisti. «Ognuno deve costruirsi il suo Vitriol», spiegava paziente al cronista, «la ricerca della Pietra Filosofale è quella del mistero che sta alla base della vita». La sua, confidava, la vedeva come una pietra «piccola, poco pesante». E forse, chissà, alla fine l’ha anche trovata.
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