Addio a Giuliano Montaldo, autore di un cinema civile e impegnato
Tra i film più eloquenti del regista, che aveva 93 anni, ricordiamo “Sacco e Vanzetti”, “Giordano Bruno” e “L'Agnese va a morire”
di Andrea Chimento
4' di lettura
Ci ha lasciato uno degli autori più impegnati della storia del nostro cinema: si è spento nella sua casa di Roma, all'età di 93 anni, Giuliano Montaldo, uno dei registi più significativi del genere civile e politico.
Nato a Genova il 22 febbraio 1930, esordisce a teatro, dove viene notato da Carlo Lizzani che gli propone un ruolo nel film “Achtung! Banditi!” del 1951: è l'inizio di una carriera recitativa che lo porterà in anni più recenti a interpretare il poeta smemorato in “Tutto quello che vuoi” di Francesco Bruni (2017), che gli valse il David di Donatello. Sarà però anche il modo per entrare nel vivo della sua carriera dietro la macchina da presa, prima come assistente (in particolare per Gillo Pontecorvo) e poi come regista a tutti gli effetti.
Già dal suo primo lavoro, “Tiro al piccione” (1961), tratto da un romanzo di Giose Rimanelli, dimostra un forte impegno sociale e viene subito selezionato alla Mostra del Cinema di Venezia: il film verrà riproposto restaurato nel 2019 in Venezia Classici, sezione della quale Montaldo era stato presidente di giuria nel 2014.
Militarismo e ingiustizie
Dopo l'esordio, prosegue con un altro film coraggioso come “Una bella grinta” (1965), dedicato a una critica dello sviluppo sociale italiano.Nonostante la loro forza drammaturgica, questi primi lavori non ebbero un grande successo di pubblico, furono anche oggetto di aspre critiche e spinsero Montaldo ad accettare di dirigere i due polizieschi “Ad ogni costo” del 1967 e “Gli intoccabili” con John Cassavetes nel 1969. Ma a neanche un anno di distanza, torna subito a proporre messaggi profondi sui temi del militarismo e delle ingiustizie, seguendo la vena artistica e tematica a lui congeniale in “Gott Mit uns (Dio è con noi)” (1970) e soprattutto “Sacco e Vanzetti” del 1971.
Gli anni 70
Aperto dai due film sopracitati, il decennio degli anni 70 è sicuramente il periodo più importante della carriera di Giuliano Montaldo.Con “Sacco e Vanzetti” mescola dramma storico e film biografico con quel cinema civile e impegnato che rappresenterà il filone più significativo della sua carriera. Se già in questa pellicola Montaldo ottiene una grande prova da Gian Maria Volonté, che veste i panni di Bartolomeo Vanzetti, altrettanto rilevante è la successiva collaborazione tra i due: “Giordano Bruno” del 1973, in cui Volonté interpreta il celebre filosofo e Montaldo alza l'asticella dell'ambizione narrativa e stilistica.Memorabile è anche il successivo “L'Agnese va a morire” del 1976, tratto da un romanzo di Renata Viganò, con una straordinaria Ingrid Thulin. Rara pellicola che racconta il tema della Resistenza al femminile, “L'Agnese va a morire” è un'ennesima testimonianza dell’interesse, da parte del regista, nel raccontare traumi e contraddizioni del conflitto bellico.Riusciti sono anche i due film che chiudono questo magico decennio per Montaldo e per buona parte del cinema italiano di genere: il poliziesco “Circuito chiuso” del 1978 e il drammatico “Il giocattolo” dell'anno successivo, in cui recita un memorabile Nino Manfredi.
I decenni successivi
Negli anni Ottanta e Novanta Montaldo lavora in maniera meno frequente e la maggior parte dei suoi lungometraggi è purtroppo dimenticabile, a partire dal poco riuscito “Tempo di uccidere” con Nicolas Cage del 1989.Sono anni in cui il regista si dedica molto ai documentari (tra cui si può citare il collettivo “L'addio a Enrico Berlinguer” del 1984), a lavori sperimentali e ad alcuni prodotti televisivi: importante in questo senso è il colossale “Marco Polo”, una miniserie per il piccolo schermo in otto episodi, che venne trasmessa nel 1982 in quasi 50 paesi.Nel Nuovo Millennio ha diretto ancora alcune pellicole, come “I demoni di San Pietroburgo” nel 2007, con cui dimostra come le sue ambizioni stilistiche non si siano fermate col tempo, e “L'industriale” del 2011, il suo ultimo lungometraggio incentrato sulla lotta di un imprenditore per salvare la sua azienda, apparentemente destinata al fallimento, con protagonista Pierfrancesco Favino.
L'autobiografia e gli ultimi ruoli
È stato anche Presidente dell'Accademia del Cinema Italiano, Giuliano Montaldo, che nel 2007 vinse il David di Donatello alla carriera.Autore poliedrico, ha pubblicato nel 2021 un libro autobiografico “Un grande amore”, dove “dirige” il film della sua vita, raccontando in prima persona la sua carriera di attore e di regista e il legame speciale, affettivo e lavorativo, con la moglie Vera Pescarolo, al suo fianco per oltre sessant'anni.Oltre al già citato film di Bruni, “Tutto quello che vuoi”, negli ultimi decenni Montaldo è stato attore, tra gli altri, per Michele Placido in “Un eroe borghese” e per Nanni Moretti ne “Il caimano”.Per un brutto scherzo del destino è morto proprio nei giorni in cui è in corso la Mostra del Cinema di Venezia, il festival che l'ha scoperto con “Tiro al piccione” e che in seguito l'aveva nuovamente ospitato con titoli come “Gli occhiali d'oro” (1987), premiato con l'Osella d'oro per la scenografia e i costumi, e il già citato “Tempo di uccidere”. Nel 2008 aveva infine presentato, sempre al Lido, il documentario “L'oro di Cuba”.
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