lutto nel calcio

Addio a Pablito, il “signor Rossi” che annichilì il Brasile

A pochi giorni dalla scomparsa di Diego Armando Maradona se ne va un altro pezzo della storia del calcio. Aveva 64 anni ed era malato da tempo

di Dario Ceccarelli

Paolo Rossi racconta il Mondiale del 1982

4' di lettura

Era Paolo Rossi. Il signor Rossi della nostra giovinezza che quando andavi all'estero, in quell'estate indimenticabile del 1982, tutti, ma proprio tutti, anche se eri in Nepal, quando capivano che eri italiano ti dicevano magari storpiandolo un po': «Ah, sei italiano? Paolo Rossi, Paolo Rossi…».

Incredibile, quasi surreale. A pochi giorni dalla scomparsa di Diego Armando Maradona se ne va un altro pezzo della storia del calcio. Se ne va per un male che lo affliggeva da diverso tempo, ma aveva solo 64 anni e a differenza di Maradona non era un sopravvissuto a una storia più grande di lui.

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La sua vita normale, non da pop star

Paolo Rossi, che per tutti era “Pablito”, dopo il calcio e dopo quell'incredibile mondiale che con i suoi gol permise all'Italia di diventare campione del mondo, è riuscito a condurre una vita “normale” senza tutti gli alti e bassi e le malinconie che si portano dietro molti campioni quando appendono le scarpe al chiodo. No, Paolo Rossi era Paolo Rossi. Un uomo che aveva mantenuto una sua straordinaria normalità uscendo a poco a poco dai riflettori della popolarità.

Certo, ha fatto il commentatore in tv, rispondeva spesso (senza mai negarsi) a qualsiasi intervista su qualche argomento calcistico, ma non era rimasto prigioniero delle catene della celebrità. No, si era costruito un “dopo” quasi da cittadino qualunque: si occupava di edilizia, aveva un'azienda a Vicenza .Poi era andato ad abitare in un bellissimo agriturismo in toscana a Bucine. Una vita senza eccessi, dopo un primo matrimonio si era risposato con Federica Cappelletti. Aveva anche tre figli, due femmine e un maschio. Una famiglia normale, senza strappi, senza lacerazione, senza i clamori che quasi sempre accompagnano la vita di personaggi così famosi.

Non era una “Pop Star” come tanti calciatori attuali. Viveva la sua vita, con ironia e un pizzico di malinconia, ma una malinconia bella, non rancorosa o troppo nostalgica. Aveva anche partecipato a “Ballando con le Stelle” ma così, alla sua maniera, con il sorriso tra le labbra. Dal punto di vista tecnico, Rossi non era un fenomeno come Maradona o Messi. Era un giocatore di “rapina”. Aveva un fiuto del gol eccezionale che gli permetteva di essere sempre al punto giusto nel momento giusto. Come era avvenuto in quell'incredibile partita con il Brasile di Zico nei quarti di finale del Mondiale 1982.

I suoi gol per il primo Mondiale del dopoguerra

L'Italia, che già a sorpresa aveva battuto l'Argentina di Maradona dopo un prima fase non certa esaltante, quell'Italia riuscì a annichilire i giganti carioca con una tripletta di Paolo Rossi che rimase scolpita nella storia del calcio. Poi arrivarono altri due gol alla Polonia e infine una delle tre reti con cui, nella finale con la Germania di Rummenigge al Santiago Bernabeu a Madrid, la nazionale di Bearzot riuscì a conquistare i Mondiali di Spagna. Una immagine rimasta indelebile.

L'esultanza del presidente Sandro Pertini, che ride in tribuna mentre fuma la pipa, l'Italia che va nel pallone dopo anni non facili di terrorismo e crisi economica e la fine del boom. Era il primo mondiale azzurro del dopoguerra. Prima lo avevamo vinto nel 1934 e nel 1938, ma nessuno se li ricordava più. Era un'altra epoca. Quell'estate rimase nel cuore di tutti. Fini in tanti canzoni, in tanti film, come un passaggio della nostra vita, qualcosa che rimane nella memoria collettiva, un momento di coesione nazionale in un paese spesso diviso e frantumato.

Ecco, Paolo Rossi è stato un po' tutto questo. Una specie di fratello maggiore che sapeva giocare al calcio senza essere un fenomeno, ma che aveva fatto qualcosa di eccezionale, nonostante la sua fragilità (gli mancavano tre menischi, aveva le ginocchia fragili). Era “Pablito” uno come noi, che era diventato però celebra in tutto il mondo.

Calcio, addio a Paolo Rossi

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La zona d’ombra

Ci sono anche altri aspetti di Rossi che andrebbero ricordati. Veniva dal Perugia dove si era fatto conoscere prima di passare alla Juventus dopo l'estate magica del 1982. Ma ebbe anche una zona d'ombra nella sua carriera che avrebbe potuto stroncarla definitivamente: una squalifica di due anni a casa di una presunta combine in Avellino-Perugia, partita in cui Rossi realizzò peraltro una doppietta. Quello del calcio scommesse, nel 1980, fu uno scandalo enorme non solo per portata mediatica. Una macchia triste, che lasciò gli italiani sotto choc.

Le ginocchia fragili

Non fu l'unico, ma aprì un vaso di pandora di cui non si sospettava l'esistenza e che poi ha tolto molto fascino a un campionato che si credeva “il più bello del mondo”. Dopo la Juventus, Rossi andò in molte altre squadra (Milan, Verona). Ma terminò presto la sua carriera. Aveva solo 31 anni ma le ginocchia non gli permettevano più di continuare. Occupa comunque la 42a posizione nella speciale classifica dei migliori calciatori del 20esimo secolo. Ma Rossi a queste celebrazioni non ha mai dato troppa importanza. Era il signor Rossi, un italiano come tanti che riuscì a far tre gol al Brasile in una partita che nessuno dimenticherà più.

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