Addio a Paolo Villaggio, caustico umorista del mondo del lavoro
di Ma.l.C.
3' di lettura
È morto Paolo Villaggio. Aveva 84 anni. Da alcuni giorni era ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma, pr poi essere trasportato presso la clinica Paideia dove è deceduto la notte scorsa. Genovese, aveva dato vita ai personaggi di Fantozzi e Fracchia, con cui aveva raccontato negli anni Settanta in chiave umoristica il mondo del lavoro, in un periodo caratterizzato da una forte conflittualità sociale. La figlia Elisabetta sul suo profilo Facebook lo ha salutato così: «Ciao papà ora sei di nuovo libero di volare». Il messaggio è accompagnato da una foto in bianco e nero che ritrae Paolo Villaggio da giovane insieme ai figli. Secondo quanto riferito da Elisabetta Villaggio, l’attore è morto per le complicanze del diabete: «Un mese e mezzo fa abbiamo fatto una serata a Capodistria - ha ricordato il figlio Pierfrancesco - poi ha avuto una forte
infezione determinata dal diabete». In Campidoglio, a Roma, sarà allestita la camera ardente di Paolo Villaggio, cui seguirà una cerimona laica presso la Casa del Cinema di Roma.
Gli esordi artistici
Nato il 30 dicembre 1932 da padre siciliano e madre veneziana, ma ligure fino al midollo nel suo mix di cinismo e romanticismo anarcoide, Villaggio è stato
attore, scrittore, autore e istrione tra radio e tv. Inizia sul palcoscenico con la compagnia goliardica Baistrocchi in cui si esibisce in esilaranti numeri da cabaret che gli serviranno da modello per le sue maschere diventate poi celebri: il travet timido, l'imbonitore aggressivo, l'eterno sconfitto. Amico d’infanzia e autore di Fabrizio De Andrè, dal loro sodalizio era nata nel 1962 una delle prime corrosive canzoni di Faber “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, che venne subito censurata.
Dagli esordi genovesi al debutto al “Derby” di Milano, poi a Roma, dove incontra Maurizio Costanzo che lo fa debuttare a teatro e lo impone alla radio. Da lì, i personaggi del Professor Kranz, il nevrotico Fracchia, il fantozziano ragionier Ugo Fantozzi, che diventa successo di pubblico prima che di critica nella versione cinematografica del 1974 per la regia di Luciano Salce e la produzione Rizzoli (saranno 10 i capitoli della saga). La carriera cinematografica porterà Paolo VIllaggio a lavorare con Federico Fellini che gli dedicherà il suo ultimo film, “La voce della luna” in coppia con Benigni, Giorgio Strehler che lo porta a teatro con “L'avaro”, Ermanno Olmi (”La leggenda del bosco vecchio” da Buzzati), Lina Wertmuller (”Io speriamo che me la cavo”), il veterano Monicelli (”Cari fottutissimi amici”), Gabriele Salvatores (”Denti”).
L’archetipo Fantozzi
La figura artistica di Paolo Villaggio si è legata a doppio filo in particolare con il personaggio di Ugo Fantozzi: la sua interpretazione grottesca sul mondo del lavoro, giocata sulla lettura dei ruoli e delle dinamiche aziendali, strideva con l’interpretazione politica che in particolare a fine anni Sessanta e per tutti gli anni Settanta avevano fornito sindacati e partiti politici.
Dissacrante, caustico e fuori dagli schemi mainstream dell’epoca, Il Fantozzi di Paolo Villagigo ha trasformato il personaggio del ragioniere in un topos letterario, in un archetipo al contrario: il personaggio con cui nessuno si immedesimava (o ammetteva di farlo) ma che ognuno riconosceva nel vicino, nel parente o nell’amico.
Vittima sacrificale delle liturgie dell’ufficio e dell’azienda - in una fase storica che invece esaltava ribellione alle regole (a sinistra) e superomismo (a destra) -, il ragionier Ugo Fantozzi era capace di rare ed epiche rivolte, come il suo famoso giudizio sulla Corazzata Potemkin, film di Sergej Michajlovič Ejzenštejn, al termine di un cineclub dopolavoristico.
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