Addio al professor Giuseppe Di Taranto che donava leggerezza alla «scienza triste»
Non immaginavo ancora che quel corso che seguii e quell’insegnamento sarebbero stati di fondamentale importanza per svolgere la mia attività di imprenditore e per guardare al mondo odierno con uno sguardo attento e consapevole
di Vincenzo Boccia
3' di lettura
Raccontano che John Maynard Keynes e Friedrich August von Hayek – i due economisti, britannico il primo, austriaco il secondo, dal cui pensiero scaturirono due scuole di pensiero ferocemente contrapposte tra loro – fossero a loro volta fieri rivali. Anzi, che si detestassero apertamente, senza neanche lo schermo della cordialità. La proverbiale ironia britannica di Lord Keynes, dicono, veniva totalmente disinnescata dalla semplice presenza di Hayek. L’austriaco, sobrio e compunto, perdeva invece la propria compostezza quando incontrava l’arcirivale.
Accadde che, durante la Seconda guerra mondiale, il governo britannico, preoccupato dai raid aerei tedeschi, ordinasse ai cittadini di spegnere tutte le luci la sera, e di spalare la neve dai tetti durante il rigido inverno, per impedire che i centri abitati fossero visibili dai bombardieri nemici. L’Università di Cambridge dovette organizzare dei turni per ripulire le ampie terrazze dei college. Ogni sera due persone estratte a sorte tra l’intera comunità, docenti, allievi e personale inclusi, avrebbero svolto il compito.
Naturalmente – perché il caso è tutto fuorché un caso, e se c’è un autore del grande romanzo della vita bisogna dire che a volte usa colpi di scena un po’ scontati –, una sera, i sorteggiati furono Keynes e Hayek, che lo scoprirono soltanto quando, con la vanga in mano, guadagnarono il tetto del Trinity College.
Raccontano che, non avendo vie di fuga né pretesti per andarsene, iniziarono a discutere aspramente. Di teoria economica, naturalmente: la discussione andò avanti con toni accesi fino al mattino, e li ritrovarono ancora lì a discutere, le vanghe a terra, il tetto ancora coperto di neve (quella notte, per fortuna, i tedeschi risparmiarono Cambridge).
Non so se ho sentito questa storia per la prima volta dal professor Giuseppe Di Taranto, o se piuttosto l’ho letta in qualche libro, anni dopo, e chissà se ho mai avuto modo di parlargliene. Vorrei farlo ora, perché ho sempre pensato che, se i regolamenti avessero previsto tre persone e non due, e il terzo sorteggiato fosse stato proprio lui, avrebbe messo una mano sulla spalla di entrambi, e con la dolcezza e l’affettuosità dei suoi modi avrebbe fatto capire a entrambi che il litigio, quello sì, era il male della conoscenza e dello studio (poi avrebbe strizzato l’occhio a uno dei due, non dico a chi: ma lo sanno già le sue tante studentesse e gli studenti, e le tante persone che hanno letto i suoi libri).
Keynes e Hayek, che temo nella vita non si amarono mai, io li ho infatti visti andare d’accordo: fui allievo a mia volta del professore, tanti anni fa all’Università di Salerno, e nelle sue parole, durante le sue affollatissime lezioni, tutte le idee venivano raccontate con passione e uguale dignità, e avevi l’impressione che il mondo degli economisti e l’intera disciplina somigliassero più a una serata tra amici, magari trascorsa a discutere appassionatamente, ma con divertimento, di qualche sport, che a un triste e lugubre mondo fatto di grandi tensioni e ancora più grandi interessi.
Non immaginavo ancora che quel corso che seguii e quell’insegnamento sarebbero stati di fondamentale importanza per svolgere la mia attività di imprenditore e per guardare al mondo odierno con uno sguardo attento e consapevole. Quando il professore ci spiegava il passaggio dal tempo del mercantilismo a quello successivo della rivoluzione industriale, sottolineava chiaramente come il ruolo dell’impresa e degli imprenditori avessero cambiato le basi non solo della produzione, ma dell’intero ciclo economico e di vita nel mondo intero, offrendo nuove prospettive di sviluppo, aprendo una pagina nuova del capitalismo, dalle frontiere sempre cangianti.
Ho ritrovato il professore tanti anni dopo alla Luiss, con qualche capello grigio in più, ma lo stesso garbo, la stessa dolcezza, intento a fare lezioni davanti ad aule sempre gremite.
In più di un momento, di fronte a questioni complesse, ho anzi pensato che nulla potesse andar male se, da qualche parte nello stesso edificio, c’era il professor Di Taranto a fare lezione.
Oggi, con sgomento e dolore, sono qui a salutarlo.
Nessuno dei suoi insegnamenti andrà perduto, e questo era un messaggio di riconoscimento e gratitudine scritto da uno studente di tanto tempo fa al suo professore.
*Presidente dell’Università Luiss Guido Carli
loading...