Olimpiadi e non solo

Addio a Tokyo e a questa pazza estate dell’orgoglio italiano

di Dario Ceccarelli

(Reuters)

5' di lettura

Non sarà facile congedarsi da questa Olimpiade così speciale. Da questa atmosfera così elettrica e coinvolgente, così amichevole e così proiettata nel futuro. E non solo per un medagliere mai così sontuoso come in questa edizione, ma anche per quella magnifica e irripetibile sensazione che tutto sia possibile, che tutto sia a portata di volontà e di desiderio. Come hanno ben spiegato Marcell Jacobs e Filippo Tortu dopo la fantastica cavalcata della 4x100. «Ci siamo guardati in faccia e abbiamo deciso che noi potevamo farcela. Se non avevamo paura degli inglesi? No, nessuna paura. Contavamo sulle nostre forze».

Addio a Tokyo, purtroppo

Ecco perchè, anche se qualcuno si stupisce, non sarà facile dire addio a Tokyo. E a questa estate sportiva così mirabolante e portatrice di energia buona. Perché ogni volta che qualcuno degli azzurri entrava in gioco, avevamo sempre l'impressione che potesse succedere qualcosa di imprevedibile, e di fattibile. Qualcosa che usciva dai soliti schemi che guidano ogni giorno di più la nostra vita. Diciamo la verità: sia come spirito collettivo, sia come spinta individuale, da anni giochiamo al ribasso. Siamo bravissimi a raccontarci con mille argomentazioni che le cose vanno male per fare un passo indietro. E quando vediamo uno come Gimbo Tamberi che si rotola in terra dalla felicità dopo aver toccato con un salto il suo cielo personale e collettivo, non possiamo non pensare che dietro a quell'impresa ci sia tutto un mondo: quella della sua famiglia, della fidanzata Chiara, con cui chissà quante volte ha litigato e fatto pace per seguire quel sogno, del padre allenatore, della mamma che quando parla sembra che pure a lei, come al figlio, abbiano lacerato un tendine.

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Il riscatto di Luigi Busà

E Luigi Busà, il ragazzo siciliano che ha cominciato a tirare pugni contro il bullismo e si è ritrovato a battere l'azzero Aghayev, il più grande del karatè? Che cosa dobbiamo pensare di Luigi? Era un ragazzo depresso, sfottuto dai coetanei perché era un “ciccione”, parola che non si può più dire ma che fa male lo stesso quando vedi che tutti gli altri te la ripetono con gli occhi. Anche Luigi, aiutato dal padre, ha fatto la cosa più semplice e sensata che si potesse fare: ha cominciato a fare sport sul tatami dimagrendo a poco a poco. E adesso eccolo qua: fiero e orgoglioso come se avesse vinto una medaglia d'oro alle Olimpiadi. Ma non è un sogno: l'ha vinta davvero.

Tokyo 2020, le medaglie dell'Italia

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Un altro mondo è possibile

Ecco perchè non sarà facile tornare alla vita di tutti i giorni. Ai soliti tg che parlano, toh che novità!, di magistratura e Monte dei Paschi. Perché ci verrà subito in mente che c'è un altro mondo possibile, come quello di Filippo Ganna e dei suoi fratelli della pista che hanno vinto su bici spaziali italiane l'oro nell'inseguimento. Ci verrà da pensare che c'è un altro mondo perché la famiglia di Ganna, verbanese del Lago Maggiore, è una famiglia solida, semplice, sportiva da sempre, che ha cresciuto questo campione come se fosse non il primo ma l'ultimo degli ultimi. Mai una parola di superbia, mai una meschineria. «Lo penso sinceramente: nell'inseguimento bisogna essere bravi tutti. Siamo forti come squadra, io faccio la mia parte, ma da solo non farei nulla».

Sembrano banalità, quelle dette da Ganna, ma in realtà sono l'essenza dello sport. Tenacia, passione, equilibrio mentale. A parole sembra tutto facile. Ma tra il dire e fare c'è di mezzo… un mondo. Ecco tutto questo mondo che esce dalle imprese di questi ragazzi, sempre educati e anche bravi a comunicare le loro emozioni, non lo ritroviamo mai nelle pagine dei giornali e dei tg. È' una bella Italia, frizzante e spesso multietnica, fatta di giovani che con le loro famiglie si danno degli obiettivi alzando l'asticella della loro ambizione. Come ha fatto quel matto di Gianmarco Tamberi che, anche quando tutto sembrava perduto, è andato avanti senza piangersi addosso.

Ecco perché non sarà facile congedarsi da questa gioiosa estate sportiva. Lo sport non è tutto, diciamolo. E non è sempre una metafora della vita. I drammi restano, le ferite profonde non si rimarginano per una medaglia. Però vedere i nostri ragazzi che alzano la testa, dopo averli ipernutriti di mille paure per il futuro, è una bella soddisfazione. Allora ce la possiamo fare, viene da dire. Se ce l'ha fatta Ganna, se ce l'ha fatta nella marcia Antonella Palmisano che sembra uno scricciolo, allora ce la possiamo fare anche noi. Colpisce poi la capacità di parlare un buon italiano e anche un buon inglese di questi ragazzi. Si esprimono tutti con una disinvoltura cui non siamo abituati. Quando Lucilla Boari, prima medaglia nell'arco femminile, ha mandato in diretta tv un messaggio di saluto alla sua fidanzata (“ringrazio la mia ragazza…”) per un attimo c'è stato un velo di imbarazzo. Ma non per lei. Tranquilla come se stesse tirando con l'arco, Lucilla lo ha detto nel modo più semplice e diretto.

Nuova generazione

È' una nuova generazione, per nulla sdraiata, di cui non ci siamo quasi accorti. Ci è passata di fianco, di sopra e di sotto, ma noi niente, non l'abbiamo vista, persi dietro a troppi talk show sulla crisi della politica. Eppure anche questa è politica, forse ancora più politica che il dualismo tra Letta e Salvini. Anche tutte le discussioni sull'emigrazione, sullo ius soli, davanti alla facilità con cui questi giovani si mescolano e fanno squadra, sono quasi comiche. Ma di cosa parliamo? Guardiamo i quattro assi della staffetta: che differenza c'è tra Tortu, che è brianzolo, e Jacobs che è figlio un texano? E Fausto Desalu, che ha dei genitori partiti dalla Nigeria per cercar fortuna, vi sembra meno azzurro di Lorenzo Patta, il sardo che sembrava fosse l'anello debole del gruppo? Certo poi colpisce mamma Veronica, la madre di Desalu, che non va in tv perché proprio quella sera deve lavorare come badante. Ma questa è l'Italia, inutile stupirsi.

Già rispunta la nostra solita maschera di scetticismo, quel cinismo scafato da paese per vecchi. Ecco perché non sarà facile staccarsi da questa strana e fantastica estate. Da queste notti magiche che sono poi diventate albe, pomeriggi, tramonti e poi ancora notti. Perché, a partire dall'impresa della nazionale di Mancini, per un paio di mesi abbiamo staccato la spina da una realtà che non ci piace. Che, come un mare in burrasca, sembra negarci un futuro. A volte per dei buoni motivi, che è inutile negare, altre volte semplicemente perchè non riusciamo a veder la costa anche quando è ormai vicina. Non sarà un Europeo, certo, non sarà una medaglia in più, certo, che ci cambieranno. Però chiedetelo a un cameriere italiano che vive a Londra o un nostro giovane ricercatore emigrato a Dallas per necessità. Vi diranno che durante questa pazza estate l'asticella dell'autostima si è alzata anche per loro. E che gli inglesi, sport o non sport, ci rispettano di più. Ma la cosa più importante, e che speriamo non svanisca, è un’altra: e cioè che questi ragazzi ci hanno fatto scoprire un mondo inesplorato cresciuto a nostra insaputa. E come al solito siamo venuti a saperlo dopo.

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