Adesso la spesa si può pagare in oro
di Sissi Bellomo
2' di lettura
Altro che criptovalute, d’ora in poi chi si è stancato delle valute tradizionali potrà pagare i suoi acquisti in oro.
Non c’è bisogno di seguire le orme di zio Paperone, caricandosi di talleri e dobloni. E non occorre nemmeno essere ricchi come il celebre personaggio di Walt Disney.
A trovare la soluzione, traghettando il metallo prezioso nell’era del digitale, ci ha pensato Glint, una startup londinese che – autorizzata dalla Fca, la Consob britannica, e affiancata da Mastercard e Lloyds Bank – ha appena messo sul mercato un bancomat e una app che consentono di regolare i conti per via elettronica col mezzo di pagamento più antico del mondo: la risposta dell’oro al Bitcoin, ammesso e non concesso che la competizione esista davvero.
In pratica il cliente apre un conto virtuale, scarica la app e quando deve fare un acquisto o trasferire una somma sceglie di volta in volta se farlo in moneta fiat (per ora solo sterline, ma presto anche euro, dollari e tutte le maggiori valute) oppure in oro.
In quest’ultimo caso si impiegano frazioni – anche minime – di lingotti allocati, custoditi in Svizzera in un caveau della società Brink, accreditato dalla London Bullion Market Association (Lbma).
Il tasso di cambio è quello ufficiale e «per gli utenti non ci sono costi occulti», assicura Glint, che ha ricevuto supporto finanziario dalla Tokyo Commodity Exchange (Tocom) e da Nec Capital Solutions.
Jason Cozens, ceo e co-fondatore di Glint, definisce il debutto dell’applicazione un «evento storico», strizzando l’occhio ai tanti nostalgici del gold standard, convinti che gli accordi di Bretton Woods abbiano posto le basi per svuotare di valore qualsiasi valuta. «A differenza delle monete di carta – afferma Cozens – l’oro non può essere spazzato via, svalutato o alterato».
«Vogliamo creare una forma più equa di denaro – aggiunge Ben Davies, ex gestore di hedge funds e socio di Cozens – offrendo la scelta e il controllo di come proteggere i propri soldi in un’era in cui le banche centrali stampano più valuta riducendone il valore».
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