Adolescenti meno ribelli e meno felici: è tutta colpa dello smartphone?
di Gilberto Corbellini
5' di lettura
L’amministratore delegato di Apple, Tim Cook, ha detto che non permette al nipote di stare sui social media (curiosa famiglia quella dove decide lo zio!), che i ragazzi dovrebbero fare un uso moderato dei dispositivi per navigare su internet e che per imparare contenuti importanti della cultura non servono le tecnologie. Anch’egli ha espresso la propria opinione – perché di opinione si tratta dato che non ha fornito alcuna prova del perché la pensa così – nella discussione se stare online sia o meno insano, e se l’uso delle tecnologie digitali danneggi la maturazione cognitiva ed emotiva dei giovani. Un tormentone che va avanti da anni.
L’ultima tenzone si era consumata in Gran Bretagna, dove a inizi 2017 quaranta esperti di psicologia ed educazione, stimolati anche da un esponente del governo, scrissero un appello per ridurre le ore che i ragazzi passano davanti a computer o smartphone. La ministra paragonò l’abuso di internet al consumo di junk food, inducendo decine di psicologi e intellettuali (ben più di quaranta) a dire che sarebbe il caso di non essere moralisti un tanto al metro. Perché non ci sono prove che si abbiano tutti questi danni per il tempo passato su internet, piuttosto che a causa di quello che i giovani fanno su internet. È più verosimile, dicono i permissivi, che sia la qualità del tempo e non la quantità a creare qualche problema. Ma quali problemi?
Lo studio al momento più interessante, al di là dell’enfasi autopromozionale con cui è scritto, è il libro della psicologa dell’Università di San Diego Jean Twenge, di cui si sta discutendo da mesi e il cui sottotitolo enuncia la tesi: «Perché i ragazzi di oggi, superconnessi, stanno crescendo meno ribelli, più tolleranti, meno felici e completamente impreparati per essere adulti (e cosa questo significa per il resto di noi)». I dieci capitoli del libro, i cui titoli iniziano con la lettera “I” (da iGen), snocciolano numeri e grafici ricavati da quattro studi demografico-sociali iniziati negli anni Settanta e che riguardano i comportamenti e le preferenze dei giovani, integrati con vari sondaggi d’opinione.
Twenge sostiene che da quando gli smartphone sono diventati onnipresenti, all’inizio di questo decennio, l’interazione faccia a faccia tra i giovani è drasticamente diminuita. Non solo, ma gli adolescenti e gli studenti universitari statunitensi oggi fanno tutto “meno”: lavorano meno, escono meno di casa, si mettono meno nei guai, bevono meno e consumano meno droghe, sono meno interessati a prendere la patente per l’auto, meno interessati all’indipendenza, hanno meno pregiudizi razziali o di genere, sono meno bullizzati o bullizzano meno, si accoppiamo di meno e fanno meno sesso (quindi meno malattie sessuali), sono meno disposti ad ascoltare chi dice cosa controverse o che giudicano psicologicamente fastidiose, etc.
E questo, per Twenge, perché sono incollati a seguire un flusso interminabile di testi e immagini su degli schermi. Il risultato è meno tempo dedicato alla «costruzione di competenze sociali, alla negoziazione di relazioni e alla navigazione delle emozioni». In termini di conoscenza pratica e di essere disposti ad affrontare il mondo reale, ci sarebbe un ritardo di tre o quattro anni nella maturità: 18 anni equivalgono a quelli che prima erano 15.
La Twenge applica la teoria del ciclo vitale (life history), per cui lo sviluppo fisico, cognitivo ed emotivo di un giovane esemplare della specie accelera o rallenta in relazione alle pressioni o urgenze adattative del contesto e nel caso di questa generazione la maturazione risulta significativamente ritardata. La scarsa socializzazione e l’autoreferenzialità prodotta dall’eccessiva mediazione dei rapporti attraverso schermi, sarebbe causa del documentato incremento dei disturbi mentali, in particolare depressione, tra questi giovani.
La Twenge propone di rinominare questa Generazione Z o Centennials nati dopo l’avvento di Google (1996) e soprattutto dopo la commercializzazione dell’iPhone (2007), iGen. Nel mondo occidentale ammontano a circa un quarto della popolazione, che per gli Stati Uniti vale 78milioni. E vengono dopo la Generazione Silenziosa, i Tradizionalisti (nati prima del 1945), i Boomers (i nati fra il 1946 e il 1964 e che oggi negli USA sono al governo), la Generazione X (nati fra il 1965 e il 1976) e i Millennials (nati tra il 1977 e il 1995).
I dati di Twenge non sono in discussione. Ma l’interpretazione? Intanto, va preso atto che questi giovani si stanno facendo meno del male con i rischi classici: bullismo, droghe (alcol, tabacco, etc.), uso dell’auto, microcriminalità. Stiamo forse rimpiangendo i riti tradizionali di iniziazione all’età adulta nel mondo occidentale? Inoltre ci si può chiedere se internet sia la causa, o non piuttosto l’effetto di un fenomeno che ha preso piede nelle società occidentali dopo la metà del ventesimo secolo, vale a dire la crescente cura dedicata ai cuccioli della specie: rispetto alle tradizioni culturali premoderne, che vedevano i bambini alla base di una piramide di attenzioni il cui vertice erano gli anziani (gerontocrazia), oggi sono i ragazzi al vertice della cura sociale (neontocrazia).
Un celeberrimo pediatra francese soleva dire che i bambini e i giovani hanno acquisito valore emotivo per i genitori solo quando hanno smesso di morire a causa delle malattie infettive, cioè dopo che vaccini e antibiotici hanno quasi azzerato la mortalità infantile. La conseguenza è stata una crescente affezione e cura per i figli, in termini di attaccamento emotivo, investimenti economici e di costruzione di un nido di bambagia dove allevarli. Internet e i diversi strumenti che consentono ai ragazzi un’esistenza ritirata e più tranquilla potrebbero essere funzionali precisamente per non uscire dalla condizione di protezione che è stata loro garantita. In altre parole, è il contesto sociale a favorire tra i giovani il successo del mondo di internet e dei dispositivi per navigarlo.
Negli ultimi 100 anni non c’è stata una generazione adulta o anziana che non abbia giudicato le generazioni più giovani come meno responsabili, più a rischio per i nuovi stili di vita, incapaci di migliorare il mondo che veniva loro consegnato, privi di valori autentici, etc. Ma quei pessimisti si sono sempre sbagliati. Perché a ogni generazione il mondo è migliorato. Di certo prima o poi una nuova generazione combinerà disastri. In ultima istanza, però, chi sta mettendo a rischio il loro futuro non sembrano loro stessi, ma esponenti come Trump della Generazione Silenziosa, o dittatori psicopatici come il nordcoreano e quello turco, integralisti religiosi di varia fattura, i disastri ambientali e alimentari alle porte, etc.
Jean M. Twenge, iGen: Why Today’s Super-Connected Kids Are Growing Up Less Rebellious, More Tolerant, Less Happy--and Completely Unprepared for Adulthood--and What That Means for the Rest of Us, Simon and Schuster, New York, pagg. 392, $ 27
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