Afa rovente, nubifragi e alluvioni: tutti i rischi del climate change in Europa
Prima l’Europa brucia, polverizzando in Francia e Benelux record vecchi di settant’anni, poi viene colpita da tempeste e alluvioni. Quali saranno nei prossimi anni i rischi del mutamento climatico nel Vecchio continente? Fa il punto sulla situazione un report redatto da Cicero, Centro di ricerca interdisciplinare sul mutamento climatico
di Enrico Marro
3' di lettura
Prima l’Europa brucia, poi viene sommersa dalle alluvioni. A fine luglio un’ondata di caldo eccezionale ha investito Francia, Belgio, Paesi Bassi e Germania occidentale. A Parigi i termometri hanno toccato i 42,6 gradi a Parc Montsouris, nel 14° Arrondissement, battendo di oltre due gradi il precedente record, i 40,4 gradi del 1947. Vicino a Breda, nel sud dell’Olanda, la colonnina è arrivata a 39,2 gradi, superando il record dell’agosto 1944 di 38,6 gradi.
In Germania, a Geilenkirchen vicino al confine belga, è stato registrato un nuovo record di tutti i tempi per l’intero Paese: 40,5 gradi. Nelle grandi città come Bruxelles e Amsterdam le temperature torride sono amplificate dall’effetto “isola di calore”, con l’asfalto che assorbe il caldo durante il giorno e lo emette di notte, impedendo il temporaneo raffreddamento dell’area urbana.
Le ondate di calore di luglio seguono un giugno record in tutta Europa, con il comune francese di Gallargues-le-Montueux, nel sud dell’Esagono, che è arrivato a sfiorare i 46 gradi. E pochi giorni dopo le ondate di caldo - che non hanno risparmiato l’Europa meridionale - in Italia, Penisola iberica e arco alpino sono arrivate a stretto giro grandinate e alluvioni, che nel nostro Paese hanno provocato tre vittime.
VIDEO / Ondata di caldo scioglie ghiaccio in Groenlandia a velocità record
I picchi di calore registrati in giugno e soprattutto in luglio sono legati a un’ondata di alta pressione che ha bloccato e deviato i normali flussi di circolazione atmosferica, lasciando il Vecchio Continente esposto alle correnti d’aria torrida provenienti dal Nordafrica e dalla Penisola iberica. Ma secondo l'Istituto federale di Tecnologia di Zurigo, i continui record registrati negli ultimi tempi, a partire dalla scorsa estate in Nordeuropa, sarebbero stati “statisticamente impossibili” senza l’apporto dell'uomo .
Cosa rischia l’Europa nei prossimi anni? A fare una sintesi sulla situazione è un report redatto da Cicero, Centro di ricerca internazionale e interdisciplinare sul mutamento climatico, istituito dal lungimirante Governo norvegese nel lontano 1990. Vediamo i principali fattori di rischio e le zone più esposte.
Ondate di calore e siccità
Sono destinate probabilmente ad aumentare, sia come durata che per intensità. Nonostante i recenti picchi nel Nordeuropa, è la parte meridionale del Vecchio continente a restare più esposta alle temperature roventi, in particolare la Penisola iberica e la Francia meridionale. Il caldo africano sarà destinato ad avere serie ripercussioni sull’agricoltura, duramente colpita dal moltiplicarsi dei fenomeni di siccità, sulla produttività dei lavoratori e sulla stessa salute dei cittadini, oltre a moltiplicare incendi e roghi nel Vecchio continente.
Nubifragi, alluvioni e tempeste
Secondo l’analisi di Cicero, sono destinati ad aumentare anche precipitazioni molto intense e nubifragi, sia nel Nordeuropa che nella parte meridionale del continente, soprattutto dopo i lunghi periodi di siccità. Questi fenomeni saranno più accentuati nei mesi invernali, provocando disagi soprattutto nelle aree urbane. Di conseguenza si registrerà un incremento anche di alluvioni e inondazioni, che colpiranno a loro volta agricoltura, infrastrutture e aree densamente popolate, in particolare vicino ai fiumi. Non sono invece chiare le dinamiche delle tempeste di vento, per le quali non si registra un aumento generalizzato di frequenza e intensità.
Aumento del livello del mare
Anche questo è un fenomeno dato ormai per certo, il dubbio è capire quanto sarà intenso. Al momento, l’analisi di Cicero registra un aumento medio globale di 3,2 millimetri l’anno, ma con significative differenze tra le diverse regioni. Entro il 2050 si prevede un innalzamento dei mari compreso tra i 16 e i 32 centimetri, più accentuato nel Nord Atlantico. A soffrire saranno quindi le zone costiere, in particolare le città portuali, ma anche la produzione di energia nucleare, per le centrali localizzate nelle zone costiere, che utilizzano l’acqua marina per raffreddare i reattori.
Frane e scarsità di neve
Mentre sull’aumento degli smottamenti del terreno e dei fenomeni franosi non ci sono stime certe, è invece sicuro che l’Europa avrà meno neve, per l’effetto combinato sia dell’aumento delle temperature che dell’intensficarsi delle precipitazioni. Nel periodo 1979-2002 le superfici coperte da neve si sono ridotte in media del 2,2% ogni dieci anni, e il fenomeno non è destinato a rallentare. Con le conseguenti difficoltà per il settore turistico montano.
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