Ddl affitti brevi diventa decreto legge: obbligo di codice identificativo e limite di due notti nelle città metropolitane
Non sarà al Consiglio dei Ministri di oggi la bozza di decreto sugli affitti brevi per lo stop di Salvini. Nel testo, comunque, confermati il pernottamento minimo (tranne per le famiglie con più di tre figli) e gli obblighi di dotazioni di sicurezza ed anti-incendio
di Paola Pierotti
I punti chiave
3' di lettura
Non sarà discusso nel Consiglio dei Ministri di oggi la bozza di decreto legge per disciplinare e limitare la diffusione degli affitti brevi nelle località a forte vocazione turistica.
Gli uffici del ministero del Turismo vorrebbero correre per chiudere la partita. Ma uno stop è giunto sabato dal vicepremier e ministro delle Infrastrutture. Matteo Salvini, che, parlando al convegno di Confedilizia, a Piacenza, ha detto «È sbagliato aggredire la proprietà immobiliare. La proprietà privata è sacra, frutto del lavoro e di sacrifici. E questo si applica anche al tema degli affitti brevi. Ognuno deve essere libero di decidere come mettere a reddito il proprio immobile».
Cosa prevede il testo
L’obiettivo dichiarato del testo è fornire una disciplina uniforme a livello nazionale per le locazioni per finalità turistiche, contrastare il fenomeno dell’abusivismo nel settore e prevedere il rispetto di requisiti igienico-sanitari e di sicurezza degli immobili dati in locazione.
Tra i chiarimenti dell’ultimo testo: «il contratto di locazione per finalità turistiche avente ad oggetto uno o più immobili ad uso abitativo, nei comuni capoluoghi delle città metropolitane non può avere una durata inferiore a due notti consecutive, fatta eccezione per l’ipotesi in cui la parte conduttrice sia costituita da un nucleo familiare con almeno tre figli». In pratica, non meno di due notti tranne se si hanno tre figli. Si reintroduce la variabile delle famiglie numerose per il limite di due notti, e sono stati tolti «i requisiti soggettivi» per affittare.
Per assicurare la tutela della concorrenza, della sicurezza del territorio e per contrastare forme irregolari di ospitalità – come anticipato nella bozza di inizio settembre – il ministero del Turismo assegna, tramite apposita procedura automatizzata, un codice identificativo nazionale – CIN – ad ogni unità immobiliare ad uso abitativo oggetto di locazione per finalità turistiche, previa presentazione in via telematica di un’istanza da parte del locatore, ancorché già munito di un codice identificativo regionale – CIR – rilasciato dalla regione competente o di un codice identificativo rilasciato dal comune competente.
All’articolo 3 si danno dettagli tecnici ulteriori sulla banca dati, che dovranno peraltro essere discussi con le Regioni.
Le critiche degli operatori
Critiche le associazioni degli intermediari immobiliari e gli operatori di affitti brevi.
«Un testo illiberale e, sotto molti profili, incostituzionale, che mira a introdurre divieti e restrizioni lesive del diritto di proprietà – hanno scritto le 14 associazioni di proprietari, intermediari immobiliari, operatori e gestori di affitti brevi (Abbav, Aigab, Breve, Confassociazioni Real Estate, Confedilizia, Fare, Fiaip, Host+Host, Host Italia, Myguestfriend, Ospitami, Prolocatur, Property Managers Italia, Rescasa Lombardia –. Sul pernottamento minimo di due notti non si comprende quale sia la motivazione alla base di una così grave limitazione del diritto di proprietà. Bene il CIR, a patto che si eliminino altre registrazioni e adempimenti a livello locale. No alla norma che stabilisce che chiunque conceda in locazione un appartamento per finalità turistiche – quindi anche chi lo faccia per poche settimane all’anno con un’abitazione normalmente tenuta a propria disposizione – debba trasformare casa propria in una sorta di simil-hotel, inserendo dispositivi, attrezzature, avvisi e istruzioni tipici delle strutture alberghiere e sottoponendosi a ingenti spese per corsi, controlli e adempimenti burocratici di varia natura. La finalità, evidente, è il disincentivo a locare».
«Rimane il limite delle 2 notti solo per le città metropolitane e viene costretto chi ha più di due case ad aprire partita Iva. Parliamo di un decreto-legge senza requisiti di necessità e urgenza – commenta Marco Celani, presidente di Aigab – diversi i profili di impugnabilità sia costituzionali che di rispetto delle norme europee su proprietà privata e concorrenza, dal nostro punto di vista».
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