Afghanistan, talebani conquistano ottavo capoluogo. Il figlio del mullah Omar: rispetteremo i vinti
La Casa Bianca discute di rafforzare i raid aerei a sostegno del governo. Il ritiro dei soldati americani è quasi ultimato: restano solo 650 uomini
di Marco Valsania
I punti chiave
- Khalilzad (Usa) in missione a Doha per soluzione «politica»
- Fonti Ue: Continuare processo Doha con Paesi chiave
- Pentagono: «Appoggio aereo a Kabul quando possibile»
- Ue: Situazione umanitaria deteriorata, 8,4 mln in necessità
- Oim: preoccupazione per 359mila nuovi sfollati
- Metà distretti nelle mani dei talebani
- Kabul alla merce degli insorti
- L’esercito saprà reagire?
- Immagine Usa a rischio
- «È il momento per le truppe di tornare a casa»
- Possibili attacchi aerei
7' di lettura
Si susseguono i bollettini della guerra a tutto campo in corso in Afghanistan. Dopo il successo dell’esercito regolare che ha respinto l’attacco dei talebani a Mazar-i-Sharif e riconquistato il settore di Nahr-i-Shahi, i talebani hanno comunicato di aver conquistato l’ottavo capoluogo del paese, Pol-e Khomri, nella provincia di Baghlan, nel nordest: «La città è stata completamente conquistata, il nemico sta fuggendo», ha affermato un portavoce dell’Emirato islamico.
In precedenza, nel respingere i talebani a Mazar-i-Sharif (capoluogo della provincia di Balkh) le forze afghane, si precisa, sono state coadiuvate dal supporto aereo. Proprio nelle ultime ore gli Stati Uniti avevano annunciato di continuare a fornire al governo di Kabul appoggio aereo e sostegno nella lotta al terrorismo.
«I leader afghani devono trovare il modo di essere uniti, di combattere da soli, di combattere per la loro nazione». Così Joe Biden risponde un secco “no” al giornalista che gli chiede se, di fronte all’avanzata irrefrenabile dei talebani, abbia del rammarico per la decisione del ritiro delle forze americane. Biden ha poi ricordato che Washington mantiene i suoi impegni economici e di sostegno al governo afghano, dopo aver «speso oltre un trilione di dollari» nel Paese, oltre all’investimento umano dei militari caduti e rimasti feriti nei 20 anni di impegno bellico.
Il capo talebano: rispetteremo i vinti
In Afghanistan l’avanzata dei talebani è cominciata a maggio, dopo l’inizio del ritiro delle forze internazionali. Intanto, gli stessi I talebani afghani hanno annunciato la riapertura di un importante valico di frontiera con il Pakistan. Si tratta del valico di Spin Boldak che era stato chiuso proprio dai talebani il 6 agosto.
Mentre i talebani continuano ad avanzare portando a otto i capoluoghi conquistati, parla il Mullah Muhammad Yaqoob, figlio maggiore, poco più che ventenne, del fondatore dei talebani afghani Mullah Omar. In un raro messaggio audio, ha esortato i miliziani a rispettare le case e le proprietà nelle città conquistate, a concentrarsi sulla “linea del fronte e combattere”. I talebani dovrebbero anzi garantire la sicurezza dei residenti, ha detto, aggiungendo che, se il personale dell’esercito nazionale afghano si arrendesse, nessuno sarebbe ferito”.
Khalilzad (Usa) in missione a Doha per soluzione «politica»
«Qualsiasi governo che in Afghanistan conquisti il potere con la forza non sarà riconosciuto dalla comunità internazionale». È questo l’avvertimento che l’inviato Usa per l’Afghanistan, Zalmay Khalilzad, ha lanciato ai talebani nell’incontro di Doha, in Qatar, dopo la striscia di conquiste militari da parte degli insorti. Secondo quanto riporta il Guardian, Khalilzad avrebbe riferito agli “studenti coranici” che la ricerca della vittoria sul campo di battaglia non porterà loro alcun vantaggio, ma solamente l’emarginazione da parte della comunità internazionale. Con la caduta di Farah, l’ultimo capoluogo provinciale conquistato dai talebani, ammonta ora a circa il 65% del territorio afghano la porzione del Paese sotto il controllo degli insorti. Un dato confermato da fonti Ue, secondo cui gli insorti «minacciano di conquistare 11 capoluoghi di provincia e privare Kabul del supporto delle forze governative stazionate nel nord», aggiunge la fonte.
Fonti Ue: Continuare processo Doha con Paesi chiave
«Per noi la cosa più importante è una pace sostenibile e una responsabilità condivisa con obiettivi condivisi, vogliamo assolutamente che la discussione continui a Doha». Così una fonte di alto livello Ue ha rilanciato la necessità di trovare un accordo politico per l’Afghanistan. La fonte in un briefing sull’Afghanistan organizzato dalla Commissione europea ha detto che se anche i talebani riuscissero a prendere il governo del Paese «dovranno governare e avere responsabilità» e hanno bisogno della comunità internazionale. «I talebani ci hanno dato chiari segnali che vogliono che li aiutiamo, gli investimenti in Pakistan non sono inutili», ha detto, rimarcando che prima dell’ottobre 2001 solo tre Paesi riconoscevano il governo talebano: Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Il processo di Doha prevedeva di togliere sanzioni in cambio di un accordo di pace, ma i talebani non hanno rispettato quell’accordo, ha spiegato la fonte aggiungendo che «come Ue abbiamo sempre chiesto questo accordo politico» e che «c’è un numero di condizioni» da rispettare. Per l’Ue «è diventato cruciale negli ultimi mesi riprendere il processo di Doha» e la cosa più importante è che ora ci sono attori chiave come Russia, Cina, Pakistan e Iran.
Domani il rappresentante speciale degli Stati Uniti, Zalmay Khalilzad, e i suoi omologhi di Russia, Cina e Pakistan, si incontreranno a Doha, sotto quella che è conosciuta come la “troika estesa”.
Pentagono: «Appoggio aereo a Kabul quando possibile»
Il segretario alla Difesa Lloyd Austin «ha sostenuto che continueremo ad appoggiare» le forze afghane «dove e quando sarà possibile», perché «non sempre sarà fattibile», e questo appoggio comprende attacchi aerei e antiterrorismo, ha spiegato il portavoce del Pentagono, John Kirby, ribadendo come secondo Austin «le forze afghane abbiano la capacità di fare una grande differenza sul campo di battaglia».
Kirby ha parlato di «molti vantaggi» del governo di Kabul sui Talebani, facendo riferimento agli oltre 300.000 soldati e poliziotti, alla forza aerea, agli equipaggiamenti moderni e alla struttura organizzata delle forze di sicurezza, pur riconoscendo che i combattimenti nel Paese «chiaramente non stanno andando nella giusta direzione» dopo l’avanzata degli insorti in almeno cinque grandi città.
Ue: Situazione umanitaria deteriorata, 8,4 mln in necessità
La situazione umanitaria in Afghanistan si è deteriorata: 8,4 milioni di persone sono in stato di necessità, l’85% della popolazione, e servono finanziamenti per gli aiuti. Lo ha affermato una fonte Ue di alto livello nella conferenza tecnica sull’Afghanistan. “Siamo estremamente preoccupati per la rapida escalation sia del numero di persone in stato di necessità che del conflitto - ha detto la fonte - anche le strutture sono compromesse”. Ci sono stati “400mila sfollati interni negli ultimi mesi e nelle ultime 72 ore sono stati uccisi 27 bambini”, ha aggiunto.
Oim: preoccupazione per 359mila nuovi sfollati
«Sono estremamente preoccupato per il deterioramento della situazione in Afghanistan, in particolare per l’impatto sulle popolazioni mobili e sfollate, compresi i rimpatriati». Lo scrive in una nota il direttore generale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), António Vitorino che sottolinea come «il numero di sfollati a causa del conflitto in tutto il Paese aumenterà di oltre 359.000 nuovi sfollati nel 2021».
L’avanzata dei Talebani
La tensione è salita dopo che, in pochissimi giorni, i talebani hanno catturato sei capitali provinciali, compreso il vitale centro economico di Kunduz con i suoi 374mila abitanti. Un’offensiva lampo che ha messo a nudo la nuova, drammatica spirale di crisi che attanaglia l’Afghanistan: i miliziani avanzano a passo molto più veloce di quanto temuto contro forze di sicurezza governative esauste, mal gestite e demoralizzate dal ritiro delle truppe americane e internazionali. I talebani si fanno forza d’una aggressiva svolta di strategia: dal controllo di aree rurali sono passati alla conquista di grandi centri urbani. Incoraggiati dalla constatazione che, nonostante questo, la Casa Bianca di Joe Biden non dà segno di voler riconsiderare il completo disimpegno dalla più lunga guerra mai combattuta dagli Usa.
Metà distretti nelle mani dei talebani
L’ultima città a cadere in ordine di tempo è stata Aybak, lungo l’autostrada che porta alla capitale del Paese Kabul; prima era toccato, oltre a Kunduz, a Sar-i-Pul, Taliqan, Zaranj e Sheberghan. Oltre metà dei 400 distretti nei quali è suddiviso l’Afghanistan sono ormai controllati dai talebani, che rivendicano crescenti assalti e attentati all’interno della stessa Kabul.
Kabul alla merce degli insorti
La Casa Bianca è oggi ferma all’angolo. Gli sviluppi militari hanno evidenziato una realtà che vede l’iniziativa in mano ai talebani e mette in dubbio ogni ipotesi che il ritiro Usa non si traduca in una fuga da Kabul lasciata alla mercè degli insorti e della brutalità che hanno finora dimostrato. Ma Biden tiene fede all’annuncio dato a inizio luglio che vede la guerra in Afghanistan finita per Washington. Anche ogni supporto a distanza alle forze regolari di Kabul, logistico e aereo, è parso in questi giorni intensificarsi ma molto circoscritto e inefficace, ostacolato dalla necessità di lanciare missioni con droni o AC-130 da basi lontane dall’Afghanistan, in Qatar e Emirati Arabi Uniti, o da una portaerei nell’Oceano Indiano.
L’esercito saprà reagire?
I dilemmi minacciano di farsi sempre più pressanti davanti a ulteriori, prevedibili avanzate talebane. Alcuni osservatori americani scommettono che i soldati del governo di Ashraf Ghani alla fine reagiranno, che hanno addestramento e mezzi per farlo dopo anni di presenza statunitense, rendendo possibile quantomeno una impasse. Ma molti temono sia un’illusione contare su stop a talebani imbaldanziti da successi che gli americani già denunciano come violazioni di passati impegni a risparmiare le capitali provinciali.
Immagine Usa a rischio
Resta da vedere se la Casa Bianca ha in serbo future reazioni se i rapidi rovesci sul campo continueranno. In gioco è la perdita a tambur battente di altre, ancora più significative città: da Mazar-i-Sharif nel nord, sotto assedio dopo la caduta di Kunduz, a Kandahar, secondo centro del Paese, per arrivare alla stessa Kabul, dove resta un’affollata ambasciata statunitense. Una simile disfatta può trasformare l’immagine controversa del ritiro Usa in una profonda disfatta di politica estera, in grado di preoccupare Washington per i danni alla sua credibilità internazionale. Allarmi in questo senso sono stati lanciati dal Pentagono fin dalla primavera: sia il Segretario alla Difesa Lloyd Austin che il capo degli stati maggiori riuniti Mark Milley avevano consigliato a Biden di evitare un totale ritiro.
«È il momento per le truppe di tornare a casa»
La Casa Bianca in pubblico, al momento, fa sfoggio di nervi saldi: la portavoce Jen Psaki, alla fine della scorsa settimana davanti alla già evidente accelerazione delle vittorie talebane, aveva riaffermato come Biden è pronto a «difficili scelte» pur di assicurare il disimpegno da Kabul. «Dopo vent’anni di guerra, è il momento per le truppe americane di tornare a casa – aveva affermato -. Il governo afghano e le sue forze armate hanno addestramento, arsenali e numeri per prevalere. È il momento che mostrino leadership e volontà al cospetto della violenza e aggressione dei talebani».
Possibili attacchi aerei
Il nervosismo comincia però a serpeggiare anche tra i consiglieri presidenziali: Biden sta ricevendo costanti briefing e sono in discussione modalità per rafforzare attacchi aerei a supporto di Kabul. Anche se, a rendere più difficile ogni mossa, resta la realtà di un ritiro Usa intensificatosi di settimana in settimana. La data per la fuoriuscita di tutte le truppe Usa impegnate in combattimenti, inizialmente l’11 settembre, è stata anticipata al 31 agosto. E nei fatti il ritiro è a questo punto ultimato, con solo più 650 soldati americani sul terreno. A fine mese dovrebbe terminare ogni supporto aereo, al di là di operazioni anti-terrorismo. Il simbolo più evidente della fine di un’era cercata da Biden è stato, il mese scorso, il repentino abbandono proprio di una colossale base dell’aviazione militare, Bagram, centro nevralgico delle operazioni Usa nel Paese.
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