Missioni internazionali

Afghanistan, a luglio tutti a casa. Mappa dei rischi per i nostri soldati

Molto alta la minaccia di attacchi. In corso la pianificazione del rientro

di Marco Ludovico

3' di lettura

La data finale, quella degli ultimi soldati italiani in partenza per Roma dal suolo afghano, è segreta. Per forza: il teatro operativo è incandescente. La pianificazione del rientro deve rimanere riservata a ogni livello. Le minacce di attacchi sono continue, gli attentati incessanti. Nella notte tra domenica e lunedì una bomba messa sul ciglio di una strada nella provincia di Zabul ha colpito un autobus di passaggio: il bilancio è di 11 morti e 28 feriti. Ed è arrivato a 85 il numero di studentesse uccise durante le tre esplosioni nella scuola Sayed-ul-Shuhad ad ovest di Kabul.

Numeri e previsioni del nostro contingente

La scadenza finale annunciata dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è l’11 settembre. Ma il rientro sarà anticipato. In ballo ci sono circa 10mila militari in campo, 2.500 Usa e 7mila dell’alleanza Nato. Gli italiani sono circa 800 - anche il numero esatto è riservato - una cinquantina a Kabul, il resto a Herat. Il generale Nicola Zanelli è il vicecomandante dell’operazione Nato “Resolute support”. Sul campo, in continuo contatto con Roma, anche l’Aise (agenzia informazioni e sicurezza esterna) guidata dal generale Gianni Caravelli. Il mandato degli italiani è stato di formazione, consulenza e assistenza delle forze afghane e delle istituzioni governative. Fine dei giochi: entro luglio si rientra in Italia.

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La pianificazione del ritorno

Modalità, scadenze, criteri organizzativi, garanzie di sicurezza: tutto è in mano al Coi, il comando operativo di vertice interforze guidato dal generale Luciano Portolano. Il rientro sarà graduale, a tappe, è scontato. Vanno messi a punto tutti i passaggi tecnici. Allineate le scelte con il resto degli alleati, non solo gli americani. Nel comando ovest, guidato dal generale Beniamo Vergori, dove l’Italia è “framework nation”, ci sono anche militari di Lituania, Slovenia, Albania, Ucraina, Ungheria e Romania. Il processo di ritorno in patria è condiviso con il capo di Stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, a sua volta in linea con il ministro Lorenzo Guerini.

Lo scenario dei rischi

La prospettiva della sicurezza in Afghanistan è spaventosa. Talebani, Isis, al Qaeda: in un infinito cambio di scena e di rapporti di forza, l’unica certezza sono gli attacchi a ripetizione. Saranno sempre di più. Al Qaeda, con diverse centinaia di affiliati, è presente in oltre undici province: Kunar, Hlmand, Khost, Zabul, Logar, Badakhshan, Nangarhar, Nuristan, Ghazni, Paktiya, Kunduz. L’Islamic State annovera un migliaio di armati, forse di più. Hanno ucciso l’anno scorso oltre 500 civili e più di 2mila soldati delle forze del governo afghano, di certo stanno anche a Kabul. E ci sono altri movimenti terroristici: l’Ijg-islamic jihad group; l’Imu-islamic movement of Uzbechistan; Kib, Khatiba Imam al Bukhari. I talebani hanno preso il controllo di sette distretti amministrativi. Oggi avanzano senza sosta, all’arrembaggio. L’anno scorso gli scontri armati sono stati circa 15mila (+19% rispetto al 2019). Gli attacchi con Ied (improvised explosive device) oltre 2mila500 (+30%).

Le mosse dell’Italia

«Il nostro obiettivo è di conservare i risultati fin qui conseguiti, fare in modo che il ritiro dei nostri avvenga in sicurezza e che prosegua il percorso di dialogo intra-afgano» ha detto di recente Lorenzo Guerini. Dal 4 al 7 maggio è stato a Kabul e a Herat il comandante del Coi dove ha visto, tra gli altri, l’ambasciatore Vittorio Sandalli e il generale dell’esercito US Scott Miller, comandante della missione Nato. «È un momento di grande fluidità, l’instabilità sta aumentando, anche per mano del Movimento Talebano» si legge sul sito del ministero della Difesa. «La sicurezza è una priorità assoluta in ogni fase del rientro» si sottolinea. Portolano ha incontrato anche il Governatore di Herat, Sayed Abdul Wahid Qattali, il comandante del 207° corpo d’armata afghano, Abdul Rauf Arghandiwal, e Maria Bashir, già procuratore generale della provincia di Herat, figura contestata dai talebani perchè donna e per aver promosso con determinazione i diritti di genere. Ora per Qattali, Arghandiwal e soprattutto Maria Bashir, c’è da incrociare le dita. La loro vita è sempre più a rischio.

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