Afghanistan: rientrano 895 italiani ma altrettanti andranno in Africa e Iraq
Il numero complessivo (oltre 6mila) dei nostri militari impiegati ad oggi in tutte le missioni internazionali potrebbe cambiare di poco poiché, come ha ricordato lo stesso ministro della Difesa, Lorenzo Guerini nel corso dei prossimi mesi si andranno a definire nuovi assetti nei teatri internazionali a cominciare dall'Africa e dall'Iraq
di Gerardo Pelosi
I punti chiave
3' di lettura
Lo studio di pianificazione per il progressivo ritiro degli 895 militari italiani impiegati attualmente nella missione Nato in Afghanistan verrà messo a punto solo a fine maggio dopo la prossima riunione dei ministri degli Esteri dell’Alleanza a Bruxelles. È quanto si apprende da fonti qualificate dopo la decisione presa ieri e sostenuta dall'amministrazione americana di procedere al ritiro del contingente internazionale entro l'11 settembre prossimo. Tuttavia il numero complessivo (oltre 6mila) dei nostri militari impiegati ad oggi in tutte le missioni internazionali potrebbe cambiare di poco poiché, come ha ricordato lo stesso ministro della Difesa, Lorenzo Guerini nel corso dei prossimi mesi si andranno a definire nuovi assetti nei teatri internazionali a cominciare dall'Africa e dall'Iraq.
Nuovi assetti dell’Italia per le minacce del Mediterraneo allargato
In sostanza l'Italia cercherà di concentrare i suoi sforzi nella stabilizzazione del cosiddetto “Mediterraneo allargato” da dove provengono la maggioro parte delle minacce (si chiamino terrorismo o flussi irregolari di immigrazione). Per cui le missioni in Africa potrebbero vedere crescere il contributo in termini di uomini e mezzi. Da poche settimane l'Italia ha inviato i primi 30 militari in Mali per la missione europea Takuba (arriveremo presto a 93 uomini) mentre in Niger la missione bilaterale Misin di addestramento alle forze locali è composta attualmente da 295 elementi.
Candidatura italiana per guidare la missione in Iraq
Più complesso il discorso che riguarda l'Iraq dove attualmente sono presenti tra Erbil e Baghdad circa 1100 uomini. L'Italia si è candidata a guidare dall'anno prossimo la nuova missione in Iraq al posto degli americani. Ciò comporterà, ovviamente, anche un maggiore contributo di forze sull'ordine di almeno altri 500 uomini. L'operazione avrebbe tra i suoi compiti il coordinamento e addestramento delle truppe che in Iraq avversano e combattono la rinascita dello Stato Islamico, praticamente gli stessi compiti svolti attualmente da Prima Parthica. Finora non vi sono reazioni ufficiali alla candidatura italiana ma il ministro della Difesa Guerini ha ricevuto nelle ultime settimane il forte apprezzamento dei Paesi membri della Nato per l'impegno italiano nelle operazioni della missione avviata nel 2014 dagli Stati Uniti a seguito dell'espansione dello Stato Islamico in Iraq e Siria. Se venisse affidata all'Italia anche la missione in Iraq salirebbero a tre i comandi di importanti missioni internazionali oltre alla Kfor Nato in Kosovo (generale Franco Federici) e Unifil dell'Onu in Libano (generale Stefano Del Col).
In Afghanistan l’Italia continuerà a collaborare con il Governo locale
Il ritiro dalle truppe italiane dall'Afghanistan non porterà all'interruzione di tutte le quelle forme di collaborazione ormai consolidate da anni con il governo locale. «Col governo afghano – ha tenuto a precisare il ministro della Difesa Guerini - non smettiamo di collaborare, lo dobbiamo ai nostri 54 connazionali caduti». E il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio ha ricordato che «Il nostro contributo al popolo afghano in questi anni è stato determinante. Abbiamo teso la nostra mano, abbiamo contribuito ad avviare progetti di cooperazione volti a sostenere un popolo afflitto dal terrorismo, provato da un conflitto logorante. Abbiamo aperto una 'via italiana' alla ricostruzione, una via fraterna, lontana dalle armi e dalle bombe, vicina alle esigenze dei cittadini afghani e alle loro speranze di ripresa».
Camporini: costi elevati per una missione che fa pochi passi in avanti
Secondo l'ex capo di Stato maggiore della Difesa generale Vincenzo Camporini «l'annunciato ritiro delle truppe occidentali dall'Afghanistan è nell'ordine delle cose. Le opinioni pubbliche dei Paesi coinvolti si sono stancate di spendere risorse in un'impresa che fa passi avanti ma non nella misura sperata». Secondo Camporini «oggi l'Afghanistan non è un Paese sicuro ma negli ultimi 2-3 anni le forze di sicurezza locali hanno dimostrato di aver migliorato grandemente le loro prestazioni». Il generale Mauro Del Vecchio, unico italiano ad aver avuto il comando dell'operazione Isaf in Afghanistan tra il 2005 e il 2006, rileva come «la nostra azione fosse essenzialmente diretta alla democratizzazione del Paese, abbiamo sempre cercato di evidenziarlo, ed è stata un'opera difficile perché dovevamo anche contrastare atteggiamenti e manifestazioni contrari alla nostra presenza in Afghanistan». Un Paese che è una “seconda patria” per il generale Giorgio Battisti atterrato per la prima volta in Afghanistan il 31 dicembre del 2001, primo comandante del contingente italiano della missione Isaf. «La mia impressione - dice Battisti - è che la ragion di stato dell'Amministrazione Usa, sia di quella attuale che della precedente, abbia prevalso su tutte le altre valutazioni in materia di sicurezza».
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