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Afghanistan, tutti i diritti negati alle donne

Da un lato le rassicurazioni a parole, dall’altro i fatti: nessuna donna nel nuovo esecutivo e l’annuncio del divieto a praticare sport

di Monica D'Ascenzo

Afghanistan, segregazione di genere: la legge dei mullah

7' di lettura

«Mi sono allenata duramente per cinque anni per raggiungere il mio sogno e al momento non ho nemmeno la sicurezza della mia vita, figuriamoci di partecipare alla competizione. Non c'è nessuno in questo grande mondo che mi possa aiutare?». L'appello via video di Zakia Khudadadi ad agosto ha fatto il giro del mondo. L'atleta afghana di taekwondo, 23enne di Herat, era la prima donna in assoluto ad aver vinto la qualificazione per rappresentare l’Afghanistan alle Paralimpiadi di Tokyo 2020. Poi l’arrivo dei talebani a Kabul e la partenza bloccata. Khudadadi è riuscita poi ad arrivare a Parigi attraverso Dubai e lì ha passato i test sul Covid ed è potuta voltare in Giappone. Alle Paralimpiadi ha perso entrambe le gare a cui ha partecipato, ma per lei è stata comunque una vittoria esserci, anche perché in patria non avrebbe più potuto praticare alcuno sport, dal momento che i talebani lo hanno vietato alle donne.

La differenza fra parole e fatti

«L’Emirato islamico non vuole che le donne siano vittime. Dovrebbero essere nella struttura del governo in base alla sharia». Il 17 agosto, subito dopo la presa di Kabul, i talebani facevano dichiarazioni rassicuranti. Queste, ad esempio, le parole, riportate dalla tv satellitare al-Jazeera e dalla turca Trt, di Enamullah Samangani, rappresentante della “commissione cultura” dei talebani. Poi erano rimbalzate sui social le immagini di una giornalista che in tv intervistava un talebano e in un tweet Miraqa Popal, capo della rete afghana Tolo News, aveva dichiarato: «Oggi abbiamo ripreso le nostre trasmissioni con le presentatrici».

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Giovedì la conferma: il nuovo governo afghano annunciato nei giorni scorsi è «provvisorio» mentre in quello successivo «avremo posti per le donne» nel rispetto della sharia. Lo ha assicurato il portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, nel corso di un'intervista rilasciata all'emittente francese Bfmtv, aggiungendo: «È l'inizio, ma faremo spazio alle donne. Possono far parte del governo. Questo sarà il nostro secondo passo». Anche perché l'attenzione del mondo è alta e se, come dicono, i talebani vogliono «stabilire relazioni diplomatiche» con il resto del mondo e chiedono che «vengano riaperte le ambasciate a Kabul», non possono prescindere dal riconoscere diritti fondamentali a metà della popolazione.

Afghanistan, segregazione di genere: la legge dei mullah


Una farsa che è andata sgretolandosi già nei giorni passati, con giornaliste che hanno iniziato a denunciare sui social di non poter più entrare nelle loro redazioni e donne che sono state costrette a rimanere a casa, perché, come è stato detto, avevano il diritto di uscire ma non si poteva garantire la sicurezza assoluta visto che i talebani in genere non sono abituati a vedere donne per le strade. Insomma, un mezzo avvertimento, che sottintendeva che fosse meglio non sfidare la sorte.

I talebani avevano promesso un governo più “morbido” rispetto al loro primo periodo al potere dal 1996 al 2001, quando le libertà delle donne in Afghanistan erano state drasticamente ridotte. Ma nei fatti ogni giorno porta una nuova restrizione e le donne non ci stanno. Prima in timidi gruppi di meno di una decina, poi sempre più numerose decidono di scendere in strada e difendere i diritti conquistati negli ultimi vent'anni. Diritti che via via vengono negati dallo studio allo sport.

Un anno accademico con nuove regole

Lunedì scorso in Afghanistan è iniziato il nuovo anno accademico. Un inizio in sordina con le università di Kabul, Kandahar e Herat semi-vuote e professori e studenti che cercano di fare i conti con le nuove regole imposte dal regime talebano. Rispetto a 20 anni fa, la novità per le donne è che possono accedere all’istruzione superiore e possono frequentare università private, ma devono attenersi a dure restrizioni sul loro abbigliamento e e sui loro movimenti.Le donne, infatti, possono frequentare le lezioni solo se indossano un abaya, un’ampia tunica, e un niqab, un velo sul viso con una piccola finestra per vedere attraverso, e sono separate dagli uomini. Le indicazioni sono state diffuse a tutte le scuole domenica scorsa con un documento scritto dall'autorità per l'educazione del governo talebano.

Nei migliori dei casi le aule sono state divise con una tenda: da una parte gli uomini e dall'altra le donne, come testimoniano le foto diffuse su Facebook da un dipartimento di economia e management dell'università di Kabul. Ma solo se ci sono meno di 15 studenti in classe. Nella maggior parte delle scuole le ragazze sono state segregate in alcuni ambienti e anche nei campus sono state destinate loro alcune aree specifiche. Condizioni totalmente diverse da quelle vissute fino alla fine dello scorso anno scolastico, tanto che arrivano già i primi allarmi da parte dei presidi. «I nostri studenti non lo accettano e dovremo chiudere l'università» ha commentato all'agenzia Afp Noor Ali Rahmani, direttore della Gharjistan University di Kabul, in un campus quasi vuoto. Rahmani ha anche precisato: «Le nostre studentesse indossano l’hijab, non il niqab».

Alle indicazioni sul vestiario si aggiungono altre regole: nei college e nelle università privati, che si sono moltiplicati dalla fine del primo governo dei talebani, le donne devono essere istruite solo da altre donne o da “anziani” e devono utilizzare un ingresso a loro riservato. Devono anche terminare le lezioni cinque minuti prima degli uomini per impedire che ci siano occasioni di socializzazione uscendo dalle aule. Le università rischiano, quindi, di svuotarsi definitivamente se si somma la fuga di cervelli subito dopo la caduta di Kabul a chi non vorrà sottoporsi alle nuove regole.

Le donne non possono praticare sport

Si svuoteranno certamente, invece, palestre, campi da gioco, piscine. Almeno di donne. «Non credo che alle donne sarà consentito di giocare a cricket, perché non è necessario che le donne giochino a cricket» ha dichiarato il vicecapo della Commissione cultura dei sedicenti studenti coranici, Ahmadullah Wasiq, affermando che nel gioco «potrebbero dover affrontare situazioni in cui il loro viso o il loro corpo non siano coperti. L'Islam non permette che le donne siano viste così». Inoltre, «questa è l'era dei media, e ci saranno foto e video, e la gente li guarderà».

Una presa di posizione che mette a rischio anche lo sport maschile a iniziare proprio dal cricket, che è popolare in Afghanistan tanto quanto il calcio in Italia. Il prossimo novembre, infatti, è prevista la partita della Nazionale afghana contro l'Australia, ma l'International Cricket Council richiede a tutti i suoi 12 membri di avere anche una squadra nazionale femminile. Inoltre il Cricket Australia ha annunciato che annullerà un test match in programma contro l'Afghanistan se i talebani al potere non supporteranno il cricket femminile: «Guidare la crescita del cricket femminile a livello globale è incredibilmente importante per Cricket Australia. La nostra visione per il cricket è che sia uno sport per tutti e sosteniamo il gioco in modo inequivocabile per le donne a tutti i livelli».

Afghanistan, il vice alla commissione cultura talebana: "Niente cricket per le donne, troppo visibil

Una questione che diventa anche economica per il nuovo governo, considerato che l’International Cricket Council fattura circa 3 miliardi di dollari annui di soli diritti televisivi, dei quali all'Afghanistan vanno circa 40 milioni di dollari. Perderli sarebbe dura per un Paese in cui iniziano a mancare i beni di sussistenza e i prezzi sono schizzati alle stelle.

Dal Cio, per ora, arriva solo una rassicurazione riguardante gli atleti olimpici e paralimpici afgani: «Tutti gli atleti afgani che hanno partecipato ai Giochi olimpici e paralimpici di Tokyo 2020 - ha detto il presidente del Cio Thomas Bach - sono fuori dal Paese. Sono andati via anche i due degli sport invernali, che stanno continuando ad allenarsi e che speriamo di vedere in gara all'Olimpiade di Pechino 2022». Ma le altre donne che praticavano attività sportive?

L'allarme delle Nazioni Unite

«La mancanza di chiarezza sulla posizione dei talebani sui diritti delle donne ha generato un'incredibile paura - e questa paura è palpabile in tutto il Paese». La vice rappresentante afghana di UN Women, Alison Davidian, racconta come le denunce ricevute sulla condizione delle donne nel Paese vadano dalle donne a cui è stato impedito di andare al lavoro – o addirittura di lasciare le loro case – senza un tutore maschio agli attacchi ai centri che hanno aiutato le donne che fuggono dalla violenza e agli attacchi sulle scuole femminili e miste. Davidian ha sottolineato che la situazione delle donne varia da provincia a provincia e ha esortato i talebani a «dimostrare che governa per tutti gli afghani e che è cambiata» e che proteggerà e promuoverà «l'intero spettro dei diritti delle donne».

A rischio anche il diritto di lavorare. Nel precedente regime talebano, infatti, alle donne non era consentito di farlo e ora in molte temono che si possa tornare indietro. Su questi temi, lunedì scorso, si sono riunite la commissione per i diritti delle donne e la commissione per i diritti umani. La situazione viene monitorata di giorno in giorno, soprattutto per le proteste delle donne che quotidianamente animano le strade delle città afgane e che chiedono di non essere lasciate sole.

La resistenza delle donne

I primi giorni sono stati quelli del disorientamento e della paura. Poi ci sono stati i giorni della fuga, per chi aveva un aggancio o una relazione con gli occidentali e si è potuto garantire un lasciapassare per volare in Occidente. Dopo il 31 agosto, invece, è arrivata la reazione delle donne che sono rimaste nel Paese e che non intendono sottostare alle regole che con il passare dei giorni i talebani stanno imponendo loro.

Le prime a scendere in piazza a Kabul sono state uno sparuto gruppo, con qualche cartello e un percorso breve. Ma la determinazione nel difendere i propri diritti era rappresentata dal fatto che non vestissero come invece veniva richiesto loro e andassero a viso scoperto. Il governo “provvisorio” tutto al maschile ha poi riacceso le proteste e decine di donne a Kabul e nella provincia nord-orientale di Badakhshan sono tornate a manifestare, affiancate anche da uomini. Questa volta, però, i talebani non si sono limitati a sparare in aria. Alcune donne sono state picchiate e l'agenzia di stampa locale Etilaatroz ha denunciato il fatto che alcuni dei suoi giornalisti sono stati arrestati e picchiati per aver seguito la manifestazione. Una versione confermata anche dalla giornalista del Foglio, Cecilia Sala, sorpresa dagli spari sotto il suo albergo durante un collegamento tv.

Afghanistan, i talebani vietano le proteste e pattugliano Kabul

I talebani insistono sul fatto che le manifestazioni siano illegali, perché è necessario fare richiesta 24 ore prima della protesta e usare un linguaggio rispettoso. Ma da quanto si legge sui social le donne non hanno intenzione di desistere e continueranno a scendere nelle strade con i loro cartelli. Come quello su cui è scritto in inglese: «I will sing freedom over and over» (Canterò la libertà ancora e ancora).

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