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Africa nuova frontiera di business, l'Italia è il terzo investitore

di Giuliana Licini

(Afp)

3' di lettura

Aiutare l'Africa ad aiutarsi. L'Italia è in prima linea nello sviluppo del continente africano dove sono impegnate da decenni alcune delle sue maggiori imprese, ma c'è molto spazio anche per le Pmi in un'area di enorme estensione che sta crescendo a ritmo accelerati sia economicamente, sia demograficamente. Opportunità e criticità dell'Africa sono state al centro del convegno per la presentazione dell'African Economic Outlook realizzato dall'Ocse, che si è tenuto nella sede di Assolombarda con la partecipazione dei vertici di alcune delle principali aziende italiane presenti nel continente.

Tra i punti focali la necessità di investimenti finanziari con garanzie e di favorire la formazione di una classe di imprenditori locali. In base al rapporto Ocse, con un totale di 11,6 miliardi di dollari, l'Italia nel 2016 è stata il terzo maggiore investitore in Africa, alle spalle della Cina con 38,4 miliardi e degli Emirati Arabi con 14,9 miliardi. A fare la parte del leone per l'Italia è stata Eni con 8,1 miliardi di investimenti. «Siamo la più africana delle aziende italiane. Operiamo in 16 paesi e non intendiamo fermarci lì. Faremo grandi investimenti anche nel 2017 con i nostri progetti in Mozambico e a Zhor», ha detto Lapo Pistelli, executive vice-president of International Affairs di Eni. Il gruppo - ha aggiunto - fa da «apripista» a molte aziende italiane che arrivano al seguito, ma c'e' anche una grande attenzione al local content da fornitori locali, per altro obbligatorio in alcuni Paesi.

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«Vanno aiutate le comunita locali. Quello che va bene per l'Africa, va bene per Eni», ha rilevato il manager. «Bisogna dare lavoro alla gente dove sta e non obbligarla ad immigrare», ha indicato Pietro Salini, ad di Salini Impregilo che è molto presente in Africa, dove realizza il 16% del fatturato e ha migliaia di dipendenti. «In Africa servono infrastrutture, ma il problema principale sono sempre i soldi», ha rilevato l'ad, che pensa a un sistema di garanzie sugli investimenti in infrastrutture. «Vanno create le condizioni per creare ambiente favorevole agli animal spirits degli imprenditori» ha aggiunto Salini.

Per Giorgio Squinzi, il numero uno della Mapei ed ex-presidente di Confindustria, «l'Africa è il continente del futuro su cui la Ue dovrebbe puntare maggiormente con la sua politica estera». L'Unione europea e l'Italia possono fare molto per contribuire alla sua crescita, ma «il processo di sviluppo deve iniziare dall'interno, con la formazione, altrimenti si rischia di commettere gli errori del passato». Ricordando l'impostazione che Michele Ferrero aveva dato alla presenza del gruppo di Alba in Africa, Francesco Paolo Fulci, presidente della Ferrero, ha sottolineato che l'obiettivo deve essere di «insegnare agli africani ad essere padroni del loro destino, ad usare le loro risorse naturali e il loro lavoro». La Ferrero - ha ricordato Fulci - è presente commercialmente in tutti i 54 Paesi africani e industrialmente in Camerun e Sud Africa, dove ha anche realizzato progetti sociali. Sulla necessita' di puntare su progetti infrastrutturali effettivamente utili si è soffermato Mario Pezzini, direttore del centro per lo sviluppo dell'Ocse e tra gli autori del rapporto. «Non vanno costruite cattedrali nel deserto, come è avvenuto per il passato anche nell'Italia del Sud», ha osservato, sottolineando che servono «progetti che creino sinergie» nel territorio, in cui quindi le Pmi possono avere una parte di rilievo. Sugli spazi di sviluppo per le Pmi italiane ha insistito Andrea Novelli, ceo di Simest (gruppo Cdp).

«Ci sono grandi opportunita nell' area sub-shariana», oltre che su quella affacciata al Mediterraneo, ha rilevato, sottolineando che l'Italia per la sua collocazione e' il Paese meglio posizionato a fare«il salto» che permetta, oltre alle grandi aziende, anche alle pmi manifatturiere di avere una presenza in Africa. Sulla stessa linea Matteo Codazzi, ceo di Cesi. In Africa ci sono 1,2 miliardi di abitanti, ma usano la stessa quantità di elettricità di Italia e Gran Bretagna, cioe' di circa 140 milioni di persone, ha ricordato. E' un problema di infrastrutture in cui senz'altro i grandi gruppi svolgono un ruolo importante, ma se si pensa alle energie rinnovabili, ad esempio, «molte Pmi italiane, vere eccellenze del settore, potrebbero dire la loro».

Gli investimenti - è stato il leit-motiv del dibattito - non devono comunque essere solo finanziari, ma anche in capitale umano. Tema su cui ha puntato i riflettori soprattutto Letizia Moratti, in qualità di presidente della E4Impact Foundation: «L'Africa presenta una grande opportunità, perchè ha una grande vivacità e dinamicità. Ci sono 29 milioni di giovani che si affacceranno al mondo del lavoro all'anno da qui al 2030 e' essenziale sviluppare le competenze in capitale umano».
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus)

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