ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùLe sfide dell’Unione europea

Aiuti di Stato e politiche industriali alla prova di un nuovo ordine giuridico

Natalino Irti, nel suo Ordine giuridico del mercato (Laterza, 1999), osserva che il mercato è uno spazio artificiale, frutto di precise scelte politiche. La scelta politica che l’Unione europea sta facendo pone le basi per un profondo ripensamento, in Europa, della relazione tra Diritto e Mercato e tra Pubblico e Privato

di Daniele Gallo e Andrea Zoppini

Dal 1° luglio. Da settimana prossima il regolamento Ue del 2022 introduce un sistema accentrato di controllo dei sussidi

4' di lettura

Natalino Irti, nel suo Ordine giuridico del mercato (Laterza, 1999), osserva che il mercato è uno spazio artificiale, frutto di precise scelte politiche. La scelta politica che l’Unione europea sta facendo pone le basi per un profondo ripensamento, in Europa, della relazione tra Diritto e Mercato e tra Pubblico e Privato, come dimostrano le molteplici misure volte a relativizzare il divieto di aiuti di Stato, ad iniziare dal Quadro temporaneo del marzo 2020, dal regolamento sugli investimenti esteri diretti del 2019 e dal regolamento sulle sovvenzioni estere del 2022. Queste tre politiche mostrano il mutamento di prospettiva in atto in Europa. Quanto agli aiuti, le notifiche effettuate dagli Stati, negli ultimi tre anni, circa i finanziamenti erogati a una pluralità di imprese hanno portato, quasi sempre, la Commissione a dichiarane la compatibilità con il diritto Ue. De facto, una sospensione generalizzata del divieto di aiuti di Stato: la finalità della tutela della concorrenza arretra a favore di una finalità differente, quella di rafforzare e promuovere il sostegno economico offerto, su base nazionale, dagli Stati alle imprese. Quanto alla politica Ue sugli investimenti diretti, si tratta degli investimenti effettuati da un soggetto extra-Ue allo scopo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti con un’impresa attiva sul mercato europeo. La cornice è il regolamento Ue del 2019, applicabile dall’ottobre 2020, regolamento che introduce un elaborato sistema di screening degli investimenti esteri extra Ue effettuati in Europa. La finalità dell’apertura del mercato dei capitali arretra a favore delle esigenze della sicurezza e dell’ordine pubblico. Esigenze che da deroghe nazionali diventano valori, positivi, europei, centrati sulla nozione di public good. Finalità extra-economiche, potrebbe dirsi. In verità, considerato l’amplissimo novero dei settori sui quali insiste lo screening, incluso quello finanziario, il regolamento Ue sembra sovvertire uno degli assiomi del diritto Ue, quello per cui restrizioni al mercato non sono ammissibili se atte a perseguire obiettivi commerciali o di protezione del tessuto industriale di un Paese membro, in breve obiettivi protezionistici.

Quanto alla politica Ue sulle sovvenzioni estere, cioè sui contributi finanziari erogati da uno Stato terzo a un’impresa attiva sul mercato europeo, si tratta di un contributo che genera, in termini selettivi, un vantaggio e, per questa ragione, una distorsione, in particolare, ma non soltanto, nel caso di concentrazioni o di procedure di appalto. La cornice è il regolamento Ue del 2022, applicabile dal prossimo luglio, che introduce un sistema accentrato (in capo alla Commissione) di indagine e controllo circa i sussidi erogati da Stati terzi. In questo ambito, piuttosto che contrarre il mercato, l’Unione pare voler eliminare i comportamenti delle imprese che tendono a inquinare le dinamiche sottese alla globalizzazione.

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In un tale quadro, che la globalizzazione arretri a favore del fenomeno opposto di progressiva deglobalizzazione è indubbio. È in questo contesto che inizia ad affermarsi un nuovo ordine giuridico che non si limita a inquadrare e, ove necessario, indirizzare il mercato. Un ordine giuridico alla prova dell’ignoto, un ordine giuridico còlto alla sprovvista, spaesato, minacciato dalla rapidità e pervasività delle trasformazioni in atto (cambiamento climatico, intelligenza artificiale, scarsezza delle terre rare, ecc.). Un ordine giuridico che, per far fronte a minacce di differente origine e grado, sembra avere come unico strumento a disposizione la compressione del mercato, il controllo su e il divieto dell’iniziativa economica. Esempi sono il divieto di vendita delle automobili a benzina e diesel dal 2035 e lo stop temporaneo, in Italia, di Chat Gpt.

Il nuovo ordine giuridico che viene ad affermarsi è il frutto della cristallizzazione di tre tendenze in seno all’Unione. Prima: la politica in tema di sovvenzioni estere e investimenti esteri diretti è il segnale della tendenza a impostare le relazioni commerciali, soprattutto con la Cina, in termini di reciprocità, stante il sostanziale collasso dell’Omc. Seconda: le politiche in tema di sovvenzioni estere, investimenti esteri diretti e aiuti di Stato sono anche il segnale della consolidata tendenza a fare quel che Stati Uniti, Cina e Australia, fanno da tempo: una politica industriale atta ad avvantaggiare gli operatori domestici (divieto di aiuti di Stato relativizzato) e, nel contempo, a contrastare le mire espansionistiche di Paesi terzi, un espansionismo di tipo sia commerciale che strategico (sovvenzioni e investimenti diretti). Il Green Deal industrial plan recentemente adottato dalla Commissione, improntato alla diversificazione energetica e al nesso strutturale tra sicurezza/ordine pubblico e sostenibilità, ne è un esempio lampante. Terza: la politica in tema di aiuti e investimenti esteri diretti è il segnale della tendenza ad affrancarsi da alcuni dogmi del passato, ispirati al libero mercato. Al riguardo, i critici della globalizzazione hanno costantemente mostrato le storture associate a una logica centrata sul mercato-fine ultimo e sulla sua autoregolamentazione. Critiche corrette per carità. Tuttavia, oggi, con una globalizzazione che arretra, in assenza di norme e istituzioni globali solide e sostenute da governi, imprese e società civile – il caso dell’Omc è esemplificativo –, il rischio è che l’autoreferenzialità dello Stato che interviene per tutelare se stesso possa accentuare e irrobustire le disparità tra Paesi e, dunque, tra categorie di individui. Il pensiero va al redivivo mantra dell’America first, oppure a Paesi come la Germania che possono finanziare le proprie imprese molto più di altri, come l’Italia, condizionati dal loro debito, grazie al nuovo approccio europeo in tema di aiuti di Stato. Quanto alle sovvenzioni estere, il discorso è simile laddove l’Unione limita Stati terzi e imprese nell’esercizio delle loro attività sul mercato europeo; tuttavia, differentemente da aiuti e investimenti diretti, la priorità è il contrasto a distorsioni generate dallo Stato piuttosto che dal mercato. Una nota conclusiva: è auspicabile che l’attuale attivismo dell’Unione in chiave di rimodulazione di portata e impatto della globalizzazione possa essere affiancato, in futuro, da un atteggiamento altrettanto coraggioso in merito a una più equa tassazione delle imprese multinazionali, anche in un’ottica redistributiva. Come noto, tuttavia, si tratta di un ambito, quello fiscale, nell’ambito del quale, differentemente da aiuti, sovvenzioni, investimenti, l’Unione è soggetta a vincoli difficilmente superabili a breve termine, in primis in ragione della regola dell’unanimità prevista nei trattati europei.

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