Mondiali al via: al calcio femminile servono i fatti di tutti, dopo le intenzioni
Con Nuova Zelanda-Norvegia si apre ad Auckland la nona edizione del Mondiale, la prima a 32 squadre
di Maria Luisa Colledani
4' di lettura
La promessa è delle Matildas, le calciatrici dell’Australia: «La nostra legacy è questa: lasciare alle ragazze che verranno dopo di noi la nostra maglia e il mondo del calcio in condizioni migliori di quando abbiamo iniziato». Oggi, ad Auckland, con Nuova Zelanda-Norvegia, inizia la nona edizione del Mondiale di calcio femminile, la prima a 32 squadre. E potrebbe essere un nuovo inizio.
Certo, Inghilterra-Scozia del 9 maggio 1881, considerata la prima partita ufficiale al femminile, è preistoria ma da lì si parte, dalla suffragetta Helen Graham Matthews che organizza la partita a sostegno di lotte più grandi del movimento femminista britannico: l’accesso al voto per le donne, nuove libertà, fra cui quella di archiviare il fastidioso corsetto, e la possibilità di praticare sport. Poi, dal Mondiale del 1991, in Cina, voluto dal presidente della Fifa di allora, João Havelange, ad Australia-Nuova Zelanda 2023, di strada ne è stata fatta tanta.
Le calciatrici non viaggiano più in economy, hanno divise hi-tech come i colleghi, preparatori e staff medici al seguito da vere professioniste. È stato un lungo viaggio, la scalata di una parete verticale, come spiegano nel loro video le Matildas, ma la rassegna che inizia oggi ha mostrato ancora una volta, come alle parole e alle buone intenzioni dettate dal politically correct ormai molto diffuso quando si parla di sport al femminile, a volte manchi il concretizzarsi di quei pensieri.
A maggio, il Mondiale si avvicinava, la vendita dei biglietti andava a gonfie vele (già acquistati 1,35 milioni di ticket, erano stati 1,2 milioni in Francia) ma i diritti tv per la trasmissione delle gare rimanevano nel limbo. Perché, nel dicembre 2021, la Fifa, guidata da Gianni Infantino, aveva deciso di separare la vendita dei diritti di trasmissione del Mondiale femminile dall’evento maschile. A maggio, tutto taceva. Per questo Infantino, con un post su Instagram, aveva alzato la voce: «Mentre le emittenti pagano da 100 a 200 milioni di dollari per la Coppa del mondo maschile, offrono solo da 1 a 10 milioni per quella femminile». Poi, 130 broadcaster – Rai compresa che trasmetterà 15 gare, fra cui quelle delle ragazze di Milena Bertolini – hanno acquisito i diritti. Che, con sponsor e biglietti, sosterranno il calcio femminile del futuro.
«I segnali di svolta ci sono – esordisce da Auckland Romy Gai, chief business officer di Fifa –: alcune aziende hanno scelto di sponsorizzare solo le ragazze, i 130 broadcaster offrono le gare in 200 Paesi, con la piattaforma gratuita Fifa+ copriremo i Paesi senza diritti, i cinesi di ShinaiTv offriranno pacchetti digitali, la piattaforma CazéTv proporrà il dietro le quinte, TikTok ha i diritti per test su contenuti a pagamento e la copertura radiofonica è cresciuta di sei volte, con 38 emittenti che hanno acquistato solo le gare delle ragazze, in Francia erano state tre. Dagli 1,2 miliardi di audience cumulata del 2019 arriveremo a 2 miliardi».
Già l’Europeo del 2022 in Inghilterra aveva segnato un gol importante per la diffusione del calcio femminile: 570 giornalisti accreditati, oltre 60 broadcaster, più di 574mila tifosi sugli spalti per i 31 match (compresi gli 87.192 della finale tra Inghilterra e Germania a Wembley, un record), 365 milioni di persone davanti alla tv (e ben 50 milioni per la finale), più di 450 milioni di interazioni sui social media e per la Uefa 590mila nuovi follower. Sull’onda di quella manifestazione, il Mondiale può fare la storia. La Fifa ci ha messo del suo: premi alle giocatrici della Coppa del mondo (30mila dollari per la fase a gironi, 60mila per gli ottavi, 90mila per chi arriva ai quarti, 165mila per il 4° posto, 180mila per il 3°, 195mila per il 2° e 270mila per le calciatrici che alzeranno la coppa).
Se pensiamo che, in media, un’atleta che gioca nei campionati nazionali guadagna 14mila dollari all’anno, la differenza salta all’occhio. Alle Federazioni verranno riconosciute cifre importanti: da 1,56 milioni di dollari per la fase a gironi fino ai 4,29 milioni per la Federazione campione del mondo, per un totale di 152 milioni. Anche in questo caso, il confronto con i 50 milioni di dollari di Francia 2019, edizione pur di grande successo con gli Usa di Megan Rapinoe in vetta, è impietoso. Australia-Nuova Zelanda varrà tre volte Francia 2019 e dieci volte il montepremi di Canada 2015.
La macchina verso la parificazione corre per colmare distanze e pregiudizi, anche se è bene ricordare – per una valutazione oggettiva – che il calcio femminile deve staccarsi dai ragionamenti (e dai valori) di quello maschile, altrimenti continueremo a paragonarli e sarà sempre perdente. Come ha dimostrato la vicenda dei diritti tv (sulla quale le tv sono state tiepide perché le gare con il fuso saranno trasmesse nella mattina europea quando la raccolta pubblicitaria non brilla, anche se poi conterà l’incremento di ascolto su singola fascia), fino a quando tutti gli attori coinvolti – istituzioni, federazioni, tv, sponsor – non faranno seguire alle buone intenzioni e ai complimenti per le ragazze che fanno gol, i fatti, la parificazione resterà solo una vittoria a lungo sognata. E là fuori, intanto, la società urla la sua contemporaneità e ci sono migliaia di bambine che sognano di diventare Cristiana Girelli o Laura Giuliani. A proposito, in bocca al lupo alle nostre Azzurre!
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