ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIntervista.Vito Grassi

«Al Sud non serve assistenza ma risorse per gli investimenti»

di Nicoletta Picchio

(IMAGOECONOMICA)

2' di lettura

«C’è un Sud che ha voglia di fare, con una cultura di impresa diffusa su tutti i territori. Un Sud che chiede infrastrutture, semplificazione burocratica, che non vuole affatto assistenza, ma misure che incentivino lo sviluppo per recuperare il gap con il Centro-Nord e le altre aree europee». Vito Grassi, presidente del Consiglio delle Rappresentanze Regionali e per le Politiche di Coesione territoriali e vice presidente di Confindustria, ha analizzato i dati del Check up Mezzogiorno di Confindustria e SRM, e quelli del volume SRM e Cesdim. Diversi approcci ma con un comune denominatore: il Mezzogiorno tiene, ha un manifatturiero di eccellenza, ma eterogeneo sul territorio, «che va potenziato e rafforzato, utilizzando le risorse a disposizione del Pnrr e dei Fondi europei, un’occasione fondamentale per recuperare le distanze con il paese».

L’indice sintetico dell’economia meridionale per la prima volta negli ultimi 15 anni supera il livello del 2007: un’inversione di tendenza?

Indubbiamente è un segnale positivo e testimonia che c’è una dinamica imprenditoriale seria e vitale. Lo dimostrano anche i dati del check up sulla crescita delle imprese, in particolare imprese di capitali. La pandemia e questo periodo di crisi geopolitica, con il caro materie prime e lo shock energetico, hanno generato una maggiore consapevolezza tra gli imprenditori.

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I gap restano, un pil inferiore nel Sud quest’anno e il prossimo, quote più basse di occupazione rispetto al Nord…

Sì, ma i dati vanno letti in modo più approfondito. La nascita di nuove imprese, il dinamismo dell’export, che è alla base di questa ripresa economica, la presenza di una ossatura manifatturiera in settori importanti, dall’alimentare all’aeronautica, all’automotive, all’energia, alle imprese farmaceutiche. L’industria del Sud ha filiere lunghe, che la connettono al Nord. La catena del valore delle imprese meridionali travalica i confini del Mezzogiorno. Far crescere il Sud è determinante per tutto il paese.

Si tratta di rafforzare le aziende che esistono, di aumentare la densità imprenditoriale e attrarre investimenti: come?

Le misure che incentivano gli investimenti al Sud vanno mantenute. Non vanno viste come aiuti, ma come una spinta propulsiva alla crescita. Penso alla decontribuzione, al credito di imposta, al finanziamento per le Zes. Ma auguro, come sembra, che nella legge di Bilancio questi interventi vengano ripristinati. Vanno resi strutturali, almeno fino a quando i gap non si siano ridotti o quasi. Poi, eventualmente, si può valutare un decalage.

Serve quindi un modello di sviluppo che punti su ricerca e innovazione, formazione, collegamenti tra imprese e università?

Aggiungerei anche che faccia perno sulla partnership pubblico-privato, sul sostegno che il mondo delle imprese può dare all’amministrazione per realizzare i progetti del Pnrr e dei Fondi europei. Bisogna cambiare il racconto: i dati dimostrano che il Sud non vuole assistenza, ma un modello economico di sviluppo, per avere una crescita solida.

A guardare le infrastrutture, a partire dai trasporti, il percorso è lungo…

Il Pnrr deve rappresentare una svolta. La Ue ha dato all’Italia più risorse rispetto ad altri paesi europei proprio perché abbiamo divari più profondi. Entro il 2026 dobbiamo vedere quali saranno gli effetti delle riforme e delle opere da realizzare. Per questo è importante non interrompere ora questo slancio del Sud e anzi rafforzarlo. Le Zes possono avere un ruolo determinante, incrociando economia del mare, logistica, filiere industriali. Vanno finanziate almeno fino al 2026, data di scadenza del Pnrr. Questa deve essere l’occasione per far cambiare volto al Mezzogiorno.

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