Al Teatro Rossetti le memorie di una ragazza “difficile”
A Vasto va in scena la pièce su Liliana Segre, interpretata da Alberta Cipriani
di Asia Vitullo
3' di lettura
Una lavagna nera simile alle ombre dei ricordi, agli occhi freddi e spenti dell'inumanità. Nero come il rumore del treno sui binari. «Nero latte dell'alba» di Paul Celan. Nero odore di morte.
«È tornata Liliana Segre...» con la speranza di un reintegro nella vita, ma soprattutto con la sua storia di nomi. Dal 27 gennaio al teatro Rossetti di Vasto (Chieti) il regista Antonio G. Tucci ricostruisce gli incubi di una tredicenne trascinata nell'oblio di corpi senz'anima. Lo fa con l'ausilio della sola e unica voce, di una lavagna e di un gessetto.
La senatrice, interpretata da Alberta Cipriani, si racconta con il sorriso ferito e la forza di chi porta sulle spalle un'esperienza drammatica, universale: Segre. Come il fiume è una pièce liberamente tratta da La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina nella Shoah di Enrico Mentana e Liliana Segre (Rizzoli, 2015) e Fino a quando la mia stella brillerà della stessa Segre con Daniela Palumbo (Piemme, 2018).
Il papà Alberto, la famiglia e tutte le persone conosciute diventano nomi che rimbalzano e s'incastrano l'un l'altro, inferno e paradiso la cui linea sottile è marcata dalla consapevolezza di voler raccontare in prima persona la propria vicenda.
Nel buio della sala emerge dolcemente e, quasi con paura, una piccola luce capace di ricreare, su quella lastra nera, il fantasma di ciò che è stato. Un nome: Segre, non come l'orrore dei giorni, non come il numero tatuato, ma come un fiume (che scorre tra la Francia e la Spagna). Quel fiume che fluisce dentro di noi è una testimonianza viva che non si placa se non con il silenzio.
Lo spettacolo incastra a mo' di puzzle le taglienti memorie di una donna che decide di raccontarsi con lucidità dopo tanto tempo. Al fine di districare lunghe e dipanate parole, il regista si muove cauto nella sceneggiatura di un monologo crudo e commovente. Da Via Morozzo della Rocca all'ufficiale svizzero, dal marito Alfredo alle lancette dell'orologio nella fabbrica di Auschwitz: il ricordo lancinante e le ombre si reincarnano dinanzi al pubblico.
«C'è un mondo che parla di cose – si racconta nello spettacolo – che io ho visto con i miei occhi, e non ho il coraggio di dire la mia. Ma io sono una testimone, ho una responsabilità diretta nel tramandare la mia storia. Avevo ritrovato il mio nome: e con il mio nome e la mia storia sentii che non potevo stare più zitta...».
Noi non vogliamo dimenticare il tormento delle nuvole e la gioia della luce di questa donna che ha saputo combattere per la vita. Una ragazza – come si definisce lei stessa – «difficile», ma con la voglia di riscoprire l'amore (per il marito e i tre figli) e il coraggio di poter guardare con occhi diversi quel 75190 tatuato sul braccio. Lo spettacolo riesce così a camminare nel labirinto di un dramma – quello dei campi di sterminio – che non ha eguali e che ha segnato per sempre il modo di vedere la realtà e di percepire l'altro. I continui, ondivaghi flashback immergono a pieno gli spettatori nel racconto della bambina spaventata dai temporali e della donna che ha ballato sotto la pioggia. Un plauso significativo va, oltre a Tucci, all'attrice Cipriani, entrata con scioltezza nelle sabbie mobili della tragedia senza rischiare di scivolare nella retorica, e anzi mantenendo un registro asciutto e variegato.
«Son qui tra le tue braccia ancor avvinta come l'edera...», cantava Nilla Pizzi, citata all'interno della pièce nella versione di Erica Mou. E come l'edera, sempreverde, Liliana Segre non ha mai smesso di credere nel colore della vita.
Segre. Come il fiume, di Antonio G. Tucci, con Alberta Cipriani, dal 27 gennaio al Teatro Rossetti di Vasto.
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