Al tempo delle non sfilate Gucci si racconta con una serie Tv in sette puntate
Mini serie di sette episodi che verranno proiettati dal 16 al 22 novembre, uno alla volta su YouTube, Weibo e sul sito dedicato Guccifest.com. Dalla creatività e teatralizzazione di Alessandro Michele e Gus Van Sant
di Angelo Flaccavento
2' di lettura
L'attuale situazione - nessun consesso concesso, e fashion week di conseguenza atomizzate su canali remoti con tempi di uscita autogestiti - oscilla tra il liberi tutti e il vale tutto. Quella che non accenna a diminuire è la febbre, sfrigolante, del contenuto, e più mezzi si hanno a disposizione meglio è. Sul video - narrativo, impressionistico, astratto, tecnico e via incrociando necessitá di collezione e puro intrattenimento, al limite proprio stordimento, visivo - si sono espressi in molti.
La prima volta della serie TV
Gucci, nella persona del direttore artistico Alessandro Michele - sempre più oracolare, tentacolare, ecumenico e fluido - si prova con il format per eccellenza della narrazione filmica contemporanea: la serie tv, frammentata, aperta e passibile di sequel, prequel e spin-off per definizione. Per presentare la collezione primavera/estate 2021 Gucci non produce una videosfilata, dunque, ma un film in sette episodi girato da Michele a quattro mani con il guru dell'indie introspettivo, Gus Van Sant.
Il titolo del genere se non puoi convincerli confondili: Overture of Something that Never Ended. La programmazione, prevista per la settimana dal 16 al 22 novembre su YouTube, Weibo e sul sito dedicato Guccifest.com, è invece un esperimento festivaliero di tutto rispetto che all'offerta principale accorpa brevi video-pillole di giovani semi-conosciuti designer internazionali, sotto il titolo di GucciFest. Insomma, una escalation di inclusione, dai beautiful freaks che di Gucci sono la comprovata tribù ai nuovi nuovi che faticano a guadagnar la ribalta. Un marchio grande guarda ai piccoli, si apre: contenuto e coscienza, sfoggio di mezzi e mano tesa a chi non ne ha, e così sia.
La teatralizzazione del quotidiano
In conferenza stampa, Alessandro Michele, sprofondato in poltrona dentro un pellicciotto da mamuthones o hippie di ritorno dal viaggio afghano, insiste sulla negazione: parla di non storia, non personaggi e non tutto. Chi scrive ha potuto visionare in anteprima il primo episodio, e in effetti poco succede, nessuno parla se non l'attivista queer Paolo Preciado alla TV, ma la protagonista Silvia Calderoni, tesa, androgina e interrogativa regge la scena con una scarica elettrica, facendo dimenticare i modelli un po' svaniti che le stanno intorno, e i vestiti che paradossalmente guidano la narrazione ma le sembrano estranei. Ancora Michele, nella lettera che accompagna il progetto, parlando della scelta serial spiega «Avevo bisogno di uno strumento che mi consentisse di gettarmi nella vita, di raccontarla dal suo interno. Quella vita che scorre in maniera apparentemente banale ma che rivela, nel suo dispiegarsi, epifanie inattese. Quel flusso di micro accadimenti casuali e di relazioni sottili che sfidano la ricerca di senso e danno forma al nostro stare».
Plausibile, non fosse che il cinema è simulacro di realtà e di vita, ad essa più vicino forse rispetto alla passerella, con un plus di affabulazione che distorce. Nella fregola del frammentare, del non narrare, dello star sospesi, quel che rimane evidente, con sbrilluccicante grevità, è la teatralizzazione del quotidiano che Alessandro Michele continua a produrre attraverso Gucci. Perché, certamente, non ci resta che il gioco delle parti, esperito nei suoi estremi baracconi pena l'invisibilità, per salvarci dal baratro del presente. O no?
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