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Al via la causa sulla trasparenza dell’attività delle banche in crisi

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Un correntista della Banca network investimenti Spa (Bni) aveva depositato 180mila euro ma, a seguito della liquidazione coatta amministrativa della banca, se ne è visti restituire soltanto 100 mila (burden sharing). Sospettando l'esistenza di fatti che potrebbero dare luogo a responsabilità sia della Banca d'Italia sia della Bni, ha chiesto alla Banca d’Italia l'accesso ad alcuni documenti riguardanti la Bni per valutare l’opportunità di instaurare una causa volta ad ottenere un risarcimento o un indennizzo.

L'accesso agli atti gli è stato in parte negato dalla Banca d'Italia. La ragione del rifiuto è stata indicata nel segreto professionale, visto che le informazioni richieste erano in possesso della Banca d'Italia a fini di vigilanza.

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Il correntista ha impugnato tale decisione di diniego davanti al Tar Lazio, osservando che, dopo la liquidazione coatta, nessuna informazione poteva ritenersi coperta da segreto. Con sentenza del 2015, il Tar Lazio ha respinto il ricorso, accogliendo la tesi della Banca d’Italia secondo cui, conformemente alla direttiva 2013/36, la possibilità di chiedere l'accesso alle informazioni confidenziali degli istituti di credito sottoposti a liquidazione coatta presuppone che il richiedente abbia introdotto una causa.

La sentenza del Tar è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato il quale ha deciso di sottoporre alla Corte varie questioni pregiudiziali sull'interpretazione della direttiva, del regolamento 1024/2013 e del principio di trasparenza.

Prossimo passo le conclusioni dell'avvocato generale che peraltro possono essere omesse ove si ritenga che la causa non sollevi nuove questioni di diritto (articolo 20 Statuto della Corte di giustizia).

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