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Alain Cavalier: «La mia nuova vita in digitale»

Il grande vecchio del cinema francese, a Milano per Filmmaker, racconta il suo rifiuto per Netflix e la sua totale apertura alle nuove tecnologie che lo hanno introdotto a una nuova forma di cinema

di Cristina Battocletti

(REUTERS)

3' di lettura

«Un tempo pensavo che si doveva vivere molto per filmare un poco. Oggi so che filmare e vivere sono la stessa cosa», così scrive Alain Cavalier riflettendo su Etre vivant et le savoir, sua ultima fatica, in anteprima italiana a Filmmaker, fino al 24 novembre a Milano. La rassegna dedica al “grande vecchio” del cinema francese una retrospettiva con quattro titoli, scelti dal regista stesso: oltre all’ultimo film, Martin et Léa (1979), La Rencontre (1996) e Irène (2009).

Si tratta di lavori, distanziati nel tempo, ma accomunati da una cifra più personale legata all’amore e alla morte, «in cui sicuramente prevale il sentimento e l’amicizia», spiega Cavalier.

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La Rencontre e Irène nascono come film irrealizzabili per la scomparsa delle due protagoniste: nel primo caso, l’amica e scrittrice Emmanuèle Bernheim, che avrebbe dovuto raccontare l’eutanasia del padre; nel secondo, Irène Tunc, moglie di Alain Cavalier, già attrice di Resnais, Truffaut, Lelouch e di molti maestri italiani, come Emmer, morta in un incidente d’auto nel 1972.

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«La malattia di Emmanuèle ha interrotto la realizzazione del film, ma ha creato la gemmazione di un’altra opera; così il vuoto della morte di Irène ha portato a una riflessione per immagini, a un ripensamento di ciò che è accaduto, di quello che ha lasciato. Così rivivono entrambe».

Nel ruolo di Irène Cavalier aveva vagheggiato di scritturare Sophie Marceau. Nel film si dice «Una donna bella, intelligente, piena di vita è in grado di rassicurarci che la qualità dell’umanità non è scaduta».

«Per me le donne sono più importanti degli uomini: sono più libere, più luminose, più divertenti. Ma parlo per me e per il mio cinema.»

I quattro titoli scelti dal regista sono opere a basso budget, lontane da quelle d’esordio, caratterizzate da un legame con l’attualità, allora il postcolonialismo in Algeria (Le Combat dans l’île , 1961, con Romy Schneider e Jean-Louis Trintignant, e L’Insoumis- Il ribelle di Algeri, 1964, con Alain Delon e Lea Massari); o da Thérèse, ritratto sobrio e disincantato della vita di santa Teresa di Lisieux, premio della Giuria a Cannes nel 1986.

Negli ultimi tempi Cavalier ha deciso di lavorare da solo. «Il regista deve raccontare una storia, basandosi su una sceneggiatura, utilizzando attori, direttori della fotografia: è un processo molto lungo e costoso. La mia vita si è trasformata quando è arrivata la macchina digitale, che registra la realtà e le emozioni alla stessa velocità dello sguardo di chi la imbraccia. Il cinema diventa allora necessariamente soggettivo, personale, attuale. Restituisce il punto di vista di una sola persona, che condivide con il pubblico»

Il cinema quindi non più è un’impresa collettiva. «Sarebbe una questione interessante da sviscerare, ma per me la decisione riguarda soprattutto il denaro per realizzare i miei film, che è molto difficile da raccogliere. E invece ora il budget non è più un ostacolo. Non invidio i giovani che si trovano a fare i film con le star e a fare i conti con le nuove generazioni che guardano i film sullo smartphone. Per me i film sono documenti, prodotti solo per la sala, in cui si realizza la sacralità della visione. Per me la sala è come una chiesa».

Quindi le piattaforme digitali sono il diavolo. «Non possono pensare di vedere i film interrompendoli, come accade su Netflix. Quello che per i miei nipoti è normale, per me impossibile».

Parlando di film soggettivi, è ancora utile ancora parlare della differenza tra documentario e finzione? «Ormai i miei lavori dipendono completamente dal mio spirito. Io racconto le azioni attraverso un occhio e nel bene e nel male riprendo solo azioni che ritengo necessarie»

In una delle sue affermazioni il regista ha detto che «Filmare è naturale quanto respirare». Conferma «Quando si riprende ciò che abbiamo a cuore la respirazione è regolare, ampia, e il tutto diventa un processo meraviglioso. Altrimenti la respirazione si blocca. Come nella vita: se si sta accanto a qualche persona interessante si respira bene».

«Alain par Cavalier», Filmmaker
Milano, fino al 24 novembre

Riproduzione riservata ©

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