Lavoro

Albini e Cemitaly chiudono le attività a Taranto: 167 addetti a rischio

Si aggrava la crisi nell’area

di Domenico Palmiotti

(ANSA)

I punti chiave

  • La crisi
  • Albini
  • Cemitaly

3' di lettura

Due aziende lasciano definitivamente l'area di Taranto e cessano le attività: sono Albini, con la Tessitura di Mottola, e Cemitaly, del gruppo Italcementi, che anni addietro ha rilevato gli impianti dalla Cementir. I due stabilimenti sono fermi da tempo e il personale (116 per Albini e 51 per Cemitaly) collocato in cassa integrazione. Per Albini, a turni i lavoratori stanno presidiando lo stabilimento dopo che Albini, il 13 luglio, ha comunicato che la Tessitura di Mottola è stata definitivamente liquidata. Il personale teme che le macchine possano essere portate via «e questo - dicono i lavoratori insieme ai sindacati - non lo vogliamo perchè riteniamo che quello stabilimento, con un'altra gestione ed un altro gruppo imprenditoriale, possa essere rilanciato». Quartier generale ad Albino in provincia di Bergamo, dove è nata nel 1876, Albini ha inaugurato il polo del Tarantino nel 2003 usufruendo dei fondi pubblici della reindustrializzazione per le aree di crisi siderurgica (legge 181 del 1989) e specializzandolo nella produzione per grandi commesse. L'avvio della liquidazione risale a marzo scorso.
Albini: cronico eccesso di offerta
Per l'azienda, il comparto tessile-moda è «caratterizzato dal cronico eccesso di offerta, dalla guerra dei prezzi scatenata dalla filiera asiatica, dalla generalizzata riduzione dei consumi e dalla crisi subita da una parte importante degli operatori del settore dell'abbigliamento, in particolare formale». «A questi fenomeni strutturali - spiega Albini - si è aggiunta la crisi causata dalla pandemia, che ha colpito il comparto tessile-moda più pesantemente di tutti gli altri settori industriali. Un trend e un contesto che, per Albini, hanno significato una riduzione nei volumi e un aggravarsi della sovraccapacità produttiva nella tessitura meno specialistica, senza previsioni di un adeguato recupero della domanda di comparto nei prossimi anni». Albini ha incaricato una società di scouting, la Vertus, di sondare imprese disposte a subentrare. I sindacati dicono che non ci sono ancora riscontri su questo, così come sulla effettiva volontà di un'Ati del tessile di farsi avanti, ipotesi prospettata dalla task force lavoro e occupazione della Regione Puglia.
Intanto, è scontro sulla cassa integrazione. Albini - dicono le sigle sindacali - non vuole usufruire della nuova tranche di cassa Covid disposta per il tessile sino a fine ottobre ma usare quella straordinaria, per cessazione di attività, della durata di un anno. I sindacati dicono no a quest'ultima ipotesi. Il 22 luglio c'é un confronto in video call col ministero del Lavoro. Al prefetto di Taranto, Demetrio Martino, Filctem Cgil, Femca Cisl e Uilctus Uil hanno chiesto un intervento circa la prosecuzione della cassa integrazione Covid, «visti i tantissimi altri interventi analoghi», un percorso che traguardi la reindustrializzazione del sito e con esso il recupero professionale di tutti i dipendenti interessati, il pagamento della cig di giugno 2021 visto che lavoratori e famiglie sono ancora senza alcuna forma di sostentamento, e, infine, la verifica dei possibili nuovi investitori. Questo, concludono le sigle dei tessili, per evitare di far correre inutilmente ulteriore tempo che potrebbe risultare inevitabilmente perso.
Cemitaly: non ci sono le condizioni per ripartire
Per Cemitaly, invece, è stata comunicata alle istituzioni e ai sindacati la necessità di procedere al licenziamento collettivo dei 51 dipendenti di Taranto ritenuti strutturalmente eccedenti in ragione della definitiva cessazione dell'attività. Cemitaly è arrivata nel 2018 ma già dal 2013, rammenta il gruppo, lo stabilimento di Taranto, costruito 60 anni fa, «versava in una condizione di prolungato fermo produttivo». Spenti i tre forni per la produzione, il sito era diventato solo un centro di macinazione. Questo per tre ragioni: grave crisi di mercato e di prodotto, difficoltà di reperimento di loppa d'altoforno dal vicino stabilimento ArcelorMittal (ex Ilva) e impossibilità nel reperire altrimenti la materia prima a costi sostenibili. Già a ottobre 2018 Cemitaly ha annunciato il licenziamento dei dipendenti, che allora erano 67. Licenziamenti poi bloccati e convertiti con la cassa integrazione straordinaria per tutti gli addetti. Nel periodo di cigs, prorogata inizialmente sino a dicembre 2020 e poi tramutata in cig Covid che termina il prossimo 15 settembre, Cemitaly dichiara di aver valutato la possibilità di una ripresa ma non sono state riscontrate le condizioni. Cemitaly sostiene che non sono possibili soluzioni alternative ai licenziamenti e “non risulta percorribile la possibilità di conversione del sito ad altre produzioni di cemento in ragione sia dell'articolazione più generale del gruppo, che della situazione in cui attualmente versa il mercato del cemento”.

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