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Alcune lezioni dalla crisi della banche

Sarebbe ingenuamente presuntuoso voler distillare delle lezioni a caldo a seguito della crisi della Silicon Valley Bank (e successive).

di Francesco Cicione

(AFP)

4' di lettura

Sarebbe ingenuamente presuntuoso voler distillare delle lezioni a caldo a seguito della crisi della Silicon Valley Bank (e successive).

Ma qualche riflessione di carattere più generale – che prescinde dalla stessa circostanza specifica e dai tecnicismi che la caratterizzano - può (e deve) essere fatta.

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Poiché emergono, ancora una volta, sullo sfondo, alcune questioni cruciali ma irrisolte (per la verità forse mai veramente affrontate ed approfondite).

Punto Primo. Negli ultimi cinquanta anni le attività di ricerca, sviluppo ed innovazione sono state progressivamente plasmate in funzione dei stringenti bisogni e delle rigide logiche di un modello di sviluppo esponenzialmente acquisitivo e quantitativo declinato all'insegna della “magnifiche sorti e progressive” e del primato della tecnologia (e del mercato ad essa connesso) come driver prioritario e salvifico di cambiamento. Il processo di finanziarizzazione dell'economia e la globalizzazione sono state e sono, nel contempo, causa ed effetto di questa vicenda. Questo approccio è definibile come competitive innovation: l'obiettivo è implementare innovazioni capaci di consolidare leadership e ritorni finanziari ed industriali illimitatamente crescenti (al netto del brodo culturale, ideologico ed antropologico, spesso posticcio, che ne è derivato e che le ha alimentate). Questa cultura dell'innovazione è - oggi e da tempo - egemone. Intorno ad essa è cresciuto un network globale che sa far bene ciò che ha deciso di fare. Il suo centro è in Silicon Valley.

Punto Secondo. La comunità della Silicon Valley, a differenza di quanto accade all'esterno del proprio perimetro, per le ragioni prima esposte, sta vivendo quanto è successo con sufficiente serenità e normalità. Oltre che con coerente e lucida fedeltà alle regole del proprio modello di business. Le bolle (finanziarie ed industriali), che ciclicamente si appalesano (ed in questo caso non si tratta, poi, di una vera e propria bolla), fanno parte del gioco. Inevitabili e necessarie, “by design” sostengono i principali operatori di settore. Normale avvicendamento (o strumento di avvicendamento) tra una vecchia e una nuova fase dettato da mutate condizioni macroeconomiche e di mercato. Addirittura una opportunità da cogliere, per alcuni. Nessun cedimento. Piena consapevolezza del percorso intrapreso. Difesa politica del proprio sistema. Disponibilità a rilanciare. “Qui in California, noi facciamo così”, si potrebbe dire. E l'unico modo possibile ?

Punto terzo. La risposta è no: non è e non deve essere l'unico modo possibile. Anche perché non è stato sempre e solo così. La storia plurimillenaria dell'umanità ci insegna che l'Umanità progredisce se avanza armonicamente sul doppio binario della competitive innovation e della impact innovation. Per generare attraverso quest'ultima risultati ed obiettivi di cambiamento intergenerazionali e di lungo termine. E' la tradizione dei monasteria, delle schole e delle universitas. E' la cultura dei costruttori di cattedrali. E' l'impresa priva di interesse pubblico. Questa via è stata, purtroppo, smarrita negli ultimi decenni. Sacrificata sull'altare del mercato e della finanza. E' urgente riattivarla.

Punto quarto. I due approcci all'innovazione, con buona pace del movimento ESG, dei suoi ingenui (o interessati) tentativi di superamento e della sua narrazione e declinazione talvolta retoriche, sono irriducibili l'uno all'altro. E sono sostenuti da metriche e modelli di business altrettanto irriducibili l'uno all'altro. Hanno, tuttavia, bisogno l'uno dell'altro. L'uno senza l'altro è sterile.

Punto quinto. Così come la Silicon Valley è l'epicentro della competitive innovation, l'Italia può e deve diventare il cuore ed il motore della impact innovation ispirata ed orientata dalla sapienza primigenia dell'umanesimo classico. Ed intorno ad essa costruire un modello di business alternativo, altrettanto radicato e consapevole, nonché fondato sulla cultura del give back e del mecenatismo, applicata alla costruzione di futuro in un orizzonte plurisecolare, in un epoca di cambiamenti epocali in cui è in gioco l'esistenza stessa dell'Umanità e del Pianeta, per come l'abbiamo fino ad ora conosciuta nell'era dell'antropocene. E' un errore inseguire il modello della Silicon Valley. Non è il nostro. Non è adatto al nostro contesto. Non è il ruolo che siamo chiamati a svolgere nella Storia come Nazione. Alla rilevanza quantitativa siamo chiamati ad aggiungere la rilevanza qualitativa. Al breve termine il lungo termine. Ai profitti gli impatti. Al mercantilismo il possibilismo. Alle tecnologie l'umanesimo. Alla macchina l'uomo. “Qui in Italia, noi facciamo così”, si potrebbe ribattere. La Silicon Valley non è l'unica via possibile. Concentriamo i nostri sforzi nella costruzione del nostro modello. Anche in chiave geo-politica e geo-strategica.

Punto sesto. I due ecosistemi possono e debbono dialogare. Non sono alternativi ma complementari. Inderogabilmente complementari. L'uno risolve i proprio limiti nell'altro. Urge uno sforzo di reciproco riconoscimento, integrazione e sostegno. Due ecosistemi un unico ecosistema. Due modelli un unico modello. Due sfide un’unica sfida. Per costruire khalos. Per costruire armonia. “Qui ad Atene, noi facciamo così” disse Pericle.

Nella sintesi tra i due modelli trova soluzione una delle contraddizioni più cogenti: politiche espansive post pandemiche vs politiche di contenimento dei processi inflattivi (cfr. liquidità illimitata a bassissimo costo vs liquidità limitata ad alto costo).

Utilizziamo la crisi per costruire cose nuove ed utili.

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