All’economia servono orizzonti chiari e di lungo respiro
di Padre Enzo Fortunato
2' di lettura
Mai come prima nella chiesa, dal papa ai vescovi, dalle associazioni ai giovani ci si è interrogati così profondamente sull’economia.
Ed è inutile nasconderselo, c’è chi guarda con sospetto questo interessamento della chiesa, che – come si dice spesso – dovrebbe occuparsi solo delle questioni spirituali.
Ma d’altro canto c’è chi proprio dalla chiesa si aspetta una differente visione dell’economia.
Basti scorrere le ultime pubblicazioni di alti prelati: non pochi si interrogano e propongono prospettive economiche.
Permettetemi di ricordare che proprio i francescani Michele Carcano e Barnaba Manassei, nel 1462, hanno dato vita a quello che oggi chiameremmo microcredito: i monti di pietà e i monti frumentari erogavano prestiti senza fini di lucro, nel quadro di una economia solidale.
Con Economy of Francesco, l’attuale pontefice rilancia il valore di quelle esperienze, con un appello rivolto ai giovani per «un’economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda».
Penso anche al testo del vescovo Domenico Sorrentino sull’economia della fraternità e soprattutto all’ultimo Economia umana dove si approfondisce l’idea di economia sociale a partire dalla lezione di Giuseppe Toniolo.
Anche Mons. Orazio Francesco Piazza, dopo aver lavorato per anni in Vaticano, oggi vescovo di Sessa Aurunca, consegna alle stampe per Rubbettino un testo sull’economia civile integrale e sulla rinascita delle comunità locali.
E non sono solo loro, ma ci sono imprenditori e giovani che all’indegnità del dio denaro oppongono la dignità dell’uomo.
La sfida che abbiamo davanti è di una magnitudo di carattere colossale, e la grande crisi non è ecologica, è politica; oggi l’uomo non governa le forza che ha scatenato, ma sono quelle forze che governano l’uomo.
Certo non siamo venuti al mondo per essere stritolati dalla macchina economica, ma siamo al mondo per essere felici. La vita è breve; vogliamo soccombere nel caos economico o vogliamo vivere davvero?
Quale deve essere allora la perspettiva? Vogliamo essere noi stessi consumati dalle cose che consumiamo? Vogliamo favorire relazioni umane fondate sulla ricerca della felicità o sul consumo compulsivo?
La prospettiva evangelica è capace di tenere insieme la dimensione spirituale e quella materiale. Sa dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare, perché, come scrisse il Cardinal Ravasi, «si tratta della tutela della dignità superiore e inalienabile della persona e della sua natura intrinseca: la libertà, le relazioni, l’amore, i grandi valori etici assoluti della solidarietà, della giustizia, della vita non possono essere meramente funzionalizzati all’interesse politico-finanziario e piegati esclusivamente alle esigenze delle strategie del sistema o del mercato».
L’economia è chiamata ad avere orizzonti chiari e di lungo respiro ricordando che, come ha detto l’ex presidente uruguayano José Mujica, «più povero è colui che ha bisogno di tanto per vivere». Basta guardarsi intorno per comprendere come coloro, imprenditori e politici, che mettono al centro la dignità dell’uomo non vengono soffocati e uccisi dal dio denaro.
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